Ilaria Alpi era una giornalista determinata, coraggiosa, amava la Somalia, la terra dove è stata uccisa, da inviata del Tg3. Aveva denunciato le ruberie della Cooperazione, i rifiuti tossici e il traffico darmi. Ilaria Alpi ha voluto tanto quel viaggio, il settimo, lultimo. E la storia della mia vita, devo concludere, devo fare, voglio mettere la parola fine, così aveva detto alloperatore Calvi per cercare di convincerlo a partire con lei. Quel 20 marzo 1994, invece, a Mogadiscio, con lei cera loperatore di Videoest di Trieste, Miran Hrovatin. Quando Ilaria e Miran tornano a Mogadiscio è il 12 marzo 1994, ci sono andati per seguire il ritiro del contingente italiano, ma soprattutto per approfondire le notizie sui rifiuti tossici e il traffico darmi su cui la giornalista stava indagando. Il 20 marzo, giorno del duplice omicidio, i soldati si preparano a lasciare la città. Sono lì per una missione internazionale di pace (Restore Hope), decisa dallOnu il 3 dicembre 1992 (risoluzione 794). La missione sarebbe dovuta servire a portare la pace in quel territorio dove Siad Barre con la sua dittatura durata anni ha innescato la guerra, che prende le mosse nel gennaio 1991. La bella città sul mare , con il porto, i mercati, il quartiere in stile arabo, i resti di architettura fascista, la cattedrale, non esiste più. O meglio. Ne esistono i lugubri resti. una città sventrata, a pezzi, quella che si presenta di fronte agli occhi di chi, oggi, vada in Somalia. E in un certo senso limpressione è ancora maggiore proprio oggi e non durante la guerra. La guerra, si sa, è distruzione e morte. Oggi cè la pace ma lo spettacolo di questi giorni non è solo per questo meno impressionante, scriveva Ilaria in un suo reportage. Ma chi era Ilaria Alpi? Ilaria era nata a Roma il 24 maggio 1961. Si era diplomata al liceo classico, poi la laurea in Lingue, parlava larabo benissimo. Aveva collaborato con le redazioni di Paese sera e LUnità, corrispondente dal Cairo per Italia Radio, e ancora per Il manifesto, Noi donne e Rinascita. Nel 1989 vince il concorso alla Rai e viene assunta nel 1990, dove lavora nella redazione Esteri. Se non fosse stato per i genitori di Ilaria (Giorgio ci ha lasciati il 12 luglio del 2010, nda), questo caso probabilmente sarebbe stato archiviato da molto tempo. Loro si sono sostituiti agli inquirenti, da subito, dal giorno del funerale della loro figlia. Dal 1994 stanno cercando le prove per risalire al mandante dellomicidio e capire il perché di quella morte. Non si sono lasciati scoraggiare, sono andati avanti, nonostante più volte ci sia stato il tentativo di mettere la parola fine. Alcuni episodi sono recenti. Prima la Commissione parlamentare dinchiesta, a febbraio del 2006, con la sua verità politica, poi la Procura di Roma, nellestate del 2007. Grazie alla loro forza, il caso oggi è ancora aperto. Ci sono voluti tredici anni per arrivare a delineare una precisa strada investigativa da seguire, lindividuazione dei mandanti e un limite di tempo: in tutto sei mesi. A partire dal 3 dicembre 2007. A restringere il campo dazione sulla più probabile tesi da seguire, quella dellomicidio su commissione, è stato il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Emanuele Cersosimo, che ha respinto la richiesta di archiviazione proposta da Franco Ionta, a luglio del 2007. Il giudice ha infatti accolto la richiesta dei genitori di Ilaria Alpi, rappresentati dallavvocato Domenico DAmati, di proseguire con le indagini. «Da unanalisi complessiva degli elementi indiziari raccolti dagli inquirenti si legge nellordinanza di rigetto del gip, che ribalta le conclusioni raggiunte finora dalla magistratura la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dellomicidio su commissione, attuato per impedire che le notizie raccolte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in ordine ai traffici di armi e rifiuti tossici avvenuti tra lItalia e la Somalia venissero portati a conoscenza dellopinione pubblica italiana. Questa sembra essere lunica strada per arrivare alla verità. Lunica opportunità, in quanto, nel frattempo, è sopravvenuta la prescrizione del caso Gelle: il testimone oggi non rischia più di essere incriminato e potrebbe spiegare perché mentì e chi sarebbe lautorità italiana, che lo avrebbe pagato per farlo. paradossale: il processo per calunnia contro il testimone chiave, che portò alla condanna di Hashi Omar Hassan a 26 anni di reclusione (per essere stato uno dei componenti del commando) per lomicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, si è chiuso per prescrizione il 10 ottobre 2012. Ma adesso è lo stesso Ahmed Ali Rage, soprannominato Jelle, a dichiarare alla trasmissione Chi lha visto? che ha mentito dietro pagamento perché gli italiani volevano chiudere il caso. In base a queste dichiarazioni ci potrebbero essere le condizioni per aprire un nuovo processo nei confronti di Hashi, in carcere da quasi 15 anni a Padova, nonché tutta linchiesta sul duplice delitto. Ne parleranno stasera a Chi lha visto?. (Serena Marotta)