La tematica del precariato, della crisi lavorativa è – chissà come mai – entrata di forza nella commedia italiana degli ultimi anni, tanto che, ormai, la formula “Natale a”, tanto in voga nel decennio scorso, sta lasciando finalmente il posto a un tipo di comicità più aderente alla realtà quotidiana, lontana da vacanze in yacht e settimane bianche da nababbi. I personaggi sono, spesso e volentieri, uomini e donne in crisi, “falliti” in cerca di un’occasione per reinventarsi, per tornare a sorridere. Era così per Smetto quando voglio, recente pellicola di Sydney Sibilia, ed è così anche per questo Noi e la Giulia, dove la consapevolezza di essere dei “falliti” viene chiaramente esplicitata dai personaggi.
Edoardo Leo, che è anche regista, interpreta Fausto, spudorato venditore da canale regionale con una serie di debiti e minacce sul groppone. Diego (Luca Argentero) e Claudio (Stefano Fresi) non se la passano meglio, tra matrimoni falliti, lavoro insoddisfacente e centenarie attività familiari portate allo sfascio nell’arco di un lustro.
Le strade di questi tre falliti si incrociano per caso, durante la visita a un vecchio casolare che, se ristrutturato a dovere, potrebbe dare il via alla tanto desiderata svolta: da lì alla decisione di mettersi in società e aprire un agriturismo il passo è breve. I tre iniziano così un’improbabile collaborazione, subito ostacolata da una sfilza di camorristi venuti a riscuotere le dovute “tasse”. Il gruppo, a cui ben presto si aggiungono Carlo Buccirosso, Anna Foglietta e un brillante Claudio Amendola, si trova così costretto a collaborare per volgere gli ostacoli a proprio favore, e riuscire a portare avanti il proprio progetto (possibilmente senza rimetterci la pelle).
Iniziamo dai lati negativi: se il personaggio di Amendola – un cinquantenne tutto centri sociali e lotta di classe – non può non rimanere impresso, lo stesso non si può dire per Luca Argentero, che pure dovrebbe essere il “protagonista” della vicenda. Analogamente, Fresi finisce per interpretare una macchietta comica che diverte solo i primi minuti, per poi essere gettata, ingiustamente, in secondo piano.
Nonostante gli evidenti limiti, comunque, Noi e la Giulia ha dalla sua una sceneggiatura solida (tratta da un romanzo di Bartolomei, “Giulia 1300 e altri miracoli”), e un finale tutt’altro che buonista. L’amarezza è una costante, senza per questo soffocare la componente comica. E quest’ultima, più che nelle battute messe in bocca ai personaggi, si annida nell’evoluzione tutt’altro che banale della trama.
Il messaggio è palese, nella sua paradossalità: una situazione difficile, rappresentata dall’automobile che dà il titolo al film, e che minaccia di mandare all’aria il piano del gruppo, viene trasformata in un punto di forza, qualcosa su cui costruire. Tale messaggio, che risulterebbe falso e retorico in bocca a un altro regista, viene enunciato qui senza addolcimenti o lunghe paternali. Il regista parla a gente come lui, senza illusioni o finte utopie.
La realtà viene dipinta senza essere trasformata in un facile idillio, in una commedia che ha, tra le altre cose, il merito di non scimmiottare tematiche prese da altri film od opere estere, cercando, per quanto possibile, di creare un intreccio originale e ben calato nella realtà italiana.