E questa sera abbiamo consegnato anche gli Oscars! Per quanto ami la musica, ormai da anni la notte dei Grammy Awards me la risparmio. Quella degli Oscars invece no. Non è una scelta istintiva, direi che è quasi scientifica. Anzi, mi correggo, è una questione di testa e di cuore, una questione di ragione e affettività. Se, come è vero, un film, una canzone, sono fatti per creare ponti tra noi e il resto dell’universo, un ponte che ci riporta a cose che abbiamo vissuto e sognato, allora devo riconoscere che nelle due celebrazioni (Grammys e Oscars) questo nesso non è visibile in eguale misura.
C’ha pensato Bob Dylan qualche settimana fa a dire quello che i Grammys non sono più capaci di dire. Andatevi a leggere il suo lungo discorso – lui che non parla mai! – al MusiCares e scordatevi tutte quelle performances di plastica dei Grammys. Se la notte dei giradischi doro ci dice qualcosa, è che nella musica d’oggi, in quella “che vende”, tutto è finto, tutto è artificiale, l’elettroencefalogramma è piatto, il cuore non batte più e un’industria avvizzita preferisce affidarsi al chirurgo estetico piuttosto che al cardiologo…
E la notte degli Oscars cosa c’ha detto? L’Academy è ideologicizzata, lo sappiamo, smaccatamente e pacchianamente sbilanciata sul fronte liberal e beatamente asservita al dio denaro. Eppure mi sembra che i films, pur concepiti “per vendere” esattamente come le canzoni, abbiano ancora un alito di vita, un respiro, un senso di ricerca che nessuno può completamente intrappolare. Certo che l’ideologia la patiamo! Tanto per cominciare, con la scelta del conduttore della serata ci hanno proposto un altro “passo avanti” rispetto all’integrazione omosessuale: da Ellen De Generes dell’anno scorso, semplicemente sposata a una donna, a Neil Patrick Harris, sposato con un altro uomo, ma con due figli portati in grembo da una donatrice. Questo lo sapevo, eppure ho aspettato la notte degli Oscars perché non c’è modo migliore per dare una occhiata al volto dell’America d’oggi tra desideri e sogni, certezze e paure, bisogno di bene ed esperienza del male. E soprattutto perché mi aspetto sempre quel colpo d’ala, quell’imprevisto che ci ricorda che…siamo in America!
Cos’ho visto? Un super spettacolo, una mega produzione, senza sapore, senza brividi, piena di ovvietà stantie. Siamo ancora ai diritti delle donne in America, siamo ancora inchiodati sulla questione razziale, e il massimo della fantasia è riorientare l’Edmund Pettus Bridge da Selma alle varie preferenze sessuali. In questo piattume, due piccoli battiti d’ala: Lady Gaga con il suo omaggio vocale a The Sound of Music (“Tutti insieme appassionatamente”) E le parole di JK Simmons, Oscar come miglior attore non protagonista. “Tutti insieme appassionatamente” ha cinquant’anni, Simmons sessanta.
Quella musica è bella, e persino una scalmanata come Lady Gaga deve rivolgersi al passato per trovare ispirazione. Simmons (“Whiplash”), c’ha invece passato un messaggio tanto vero quanto antico: “Se siete così fortunati da avere ancora uno o due genitori, chiamateli, parlateci, ascoltateli. Grazie mamma, grazie papà”. Salviamo anche Tim McGraw che ha cantato una struggente canzone di Glen Campbell (vecchia anche quella), ma al di là di questo, deserto.
Eppure in tutti quei films qualcosa c’è! C’è e continua a esserci. Non aspettiamoci però che siano i signori degli Oscar a indicarci la via. Seguiamo piuttosto il consiglio di Simmons. Se abbiamo un padre, una madre, chiamiamoli, cerchiamoli, parliamoci. E ascoltiamoli.