Louis Zamperini. Un piccolo teppista di origini italiane, appena sbarcato in America insieme ai genitori e al fratello maggiore, poco dopo la conclusione del primo conflitto mondiale. Scappa da scuola senza neanche preoccuparsi di restare nascosto, viene picchiato e insultato per le sue origini straniere e beve alcolici in bottiglie del latte appositamente camuffate. Il protagonista di Unbroken, il secondo lavoro cinematografico di Angelina Jolie che segue In the Land of Blood and Honey del 2011, si presenta decisamente come uno scapestrato, un maestro nel cacciarsi nei guai e promosso a pieni voti anche nell’aumentare le preoccupazioni dei suoi cari. Eppure i primi, fugaci minuti della pellicola sono fondamentali.
Sul grande schermo viene mostrata l’ossatura di un uomo che, grazie alla fiducia di suo fratello Pete (Alex Russell) nelle sue potenzialità e all’incrollabile fede di sua madre, raggiunge un traguardo eccezionale, quello di partecipare alle Olimpiadi di Berlino del ’36, stupendo tutti con la sua performance che non gli assicura la vittoria, ma certamente porta con sé applausi meritati. Ma è solo la prima, e sotto molti punti di vista la più semplice, delle prove che la vita ha in serbo per lui. Louis Zamperini, ben presto, si trova catapultato tra le fila – o meglio, tra le nuvole – dell’esercito americano durante la Seconda guerra mondiale. Ed è sui fatti pregnanti di quegli anni che si sviscera quasi la totalità della trama di Unbroken, tratto dal romanzo biografico “Sono ancora un uomo. Una storia epica di resistenza e coraggio” di Laura Hillenbrand (2010). Naufrago per più di quaranta giorni nel bel mezzo del “Tanto Oceano” Pacifico, viene finalmente riportato sulla terraferma dai nemici giapponesi; e trasferito in due diversi campi di prigionia fino al termine del conflitto.
Non c’è niente in questa narrazione che non entri letteralmente sotto la pelle dello spettatore, facendolo rabbrividire e a tratti lasciandolo anche decisamente perplesso, perché si tratta di una storia vera, di una vita vissuta. Tutte quelle atrocità sono passate realmente sulla pelle di un uomo, di più uomini. Dalle orribili torture subite a opera del suo principale aguzzino, Mutsushiro “L’Uccello” Watanabe (Miyavi), all’animo logorato dall’attesa di un soccorso tra le immense distese oceaniche, fino al suo viso arso dal sole, al lavoro forzato in mezzo a tonnellate di carbone e alle orribili umiliazioni che indebolirebbero anche la più audace tra le dignità.
Louis Zamperini tenta di conservare la lucidità in mezzo al mare, cullato dalle onde ma soprattutto dai ricordi di casa e della quotidianità che acquisisce un valore prezioso, un significato che tutto a un tratto non è più scontato, né tantomeno ordinario. qui che emergono i primi punti deboli della pellicola, che ne fanno – anche se solo a brevi tratti – calare il tono insieme anche all’attenzione dello spettatore: se la semplicità delle fonti e degli affetti che hanno caratterizzato il sostegno di Zamperini in quegli anni fossero emersi maggiormente, probabilmente la sceneggiatura ne avrebbe giovato. Ma forse è stata proprio la genuinità dei ricordi di quest’uomo e la profondità con cui erano insiti nella sua persona a spingere Angelina Jolie e i fratelli Coen proprio in direzione del risultato ottenuto.
Louis Zamperini è morto l’anno scorso, nel 2014, a 97 anni, ma ha creduto di morire ben più volte nelle mani dei giapponesi: non solamente quando si è trovato inerme, spogliato e in ginocchio davanti a uomini armati o nel momento in cui ha dovuto sostenere a lungo una trave in cemento sopra le spalle. Quello che l’ha salvato, tutte le volte, è stata la sua famiglia. La fede della madre che per lui rimane un Mistero ma che non rinnega mai, la fiducia e l’affetto del fratello, perfino il sapore degli gnocchi all’italiana.
Perché lui era questo, non solo un naufrago. Non solo un prigioniero. Non solo un atleta che non riesce neanche a reggersi sulle sue gambe. Lui era, innanzitutto, un uomo. La sua “ossatura” non viene mai meno e lo spettatore, in ogni caso, lo comprende: nonostante l’esito un po’ zoppicante in alcuni punti, la pellicola in generale è degna di nota. Questo, soprattuto, perché Louis Zamperini merita il grande schermo, con la sua tempra inesauribile, con il suo essere uomo sempre, dal dolore alla gloria.
(Maria Ravanelli)