Quando un attore vuole liberarsi dell’etichetta di star commerciale, migra verso il teatro e spera che i critici lo esaltino per la sua bravura. In Birdman, Riggan Thompson (Michael Keaton) è diventato famoso per un ruolo da supereroe, Birdman appunto, che vola tra i grattacieli. Desideroso di dimostrare il proprio valore a Broadway, decide di scrivere un copione teatrale adattando un’opera di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore. Ingaggia Sam, la figlia adolescente ribelle (Emma Stone), Lesley, un’attrice in cerca della sua occasione (Naomi Watts), Mike, un attore egocentrico e arrogante (Edward Norton) e organizza uno spettacolo che, con l’avvicinarsi della prima, gli sfugge di mano.
La sua sete di approvazione lo porta a scontrarsi con il giovane attore che reclama l’attenzione su di sé e improvvisa sul palcoscenico, mettendo in crisi i colleghi. Ma lo porta anche ad affrontare le ombre del suo passato, il fallimento del matrimonio e il difficile rapporto con la figlia, che a suo modo gli vuole bene. Se credeva di attirare il pubblico con il talento, è costretto ad abbandonare l’illusione: la folla accorre quando Mike dà scandalo e, ancora più numerosa, quando Riggan stesso si trova chiuso fuori mezzo nudo ed è costretto a un ingresso “trionfale” nel suo teatro, scatenando una pioggia di commenti su twitter e di condivisioni sui social.
Il regista messicano Alejandro Gonzalez Inarritu tinge di nero una commedia che rappresenta la smania di successo e l’incapacità dei “famosi” di distinguere tra amore e approvazione, oltre che di gestire le proprie emozioni. Il film è girato in una serie infinita di piani sequenza che rispecchia la dimensione teatrale: la telecamera segue gli attori che entrano in scena ed escono in un flusso continuo, senza il montaggio. Ci sono porte da attraversare, specchi in cui riflettersi, luci da accendere e spegnere, mentre il giorno cede il passo alla sera e il momento dell’anteprima si fa pericolosamente vicino.
esplicita la critica all’attuale mania hollywoodiana di fare soldi con i supereroi, sfornando saghe, sequel, prequel e prosciugando fino all’osso l’intero mondo dei fumetti. Il pubblico, abituato alle acrobazie visive e alle storie lineari, saprà ancora apprezzare un’opera drammaturgica dove i protagonisti non fanno che parlare?
Birdman offre un ritratto spietato del mondo dello spettacolo, caratterizzato dal narcisismo degli attori, dalle loro manie e fragilità, dai rapporti complicati e volubili. Dipinge senza filtri la decadenza culturale contemporanea, l’incapacità di giudicare un prodotto senza assumere un atteggiamento estremo – quello della critica newyorkese che demolisce a priori e il suo opposto, quello della folla attratta soltanto dal numero dei “like” su Facebook.
È tristemente vero ciò che il regista racconta attraverso la storia di Riggan, un Don Chisciotte che, da un lato, condivide i difetti degli attori, ma dall’altro non si rassegna al dominio dei social e combatte una battaglia persa contro la povertà intellettuale.
Il film è troppo lungo e, nel finale, si trascina, mettendo alla prova lo spettatore, ma lascia molti spunti di riflessione e quel senso di stordimento che deriva dalla messa a nudo della verità.