Dopo aver firmato una serie di sceneggiature, Edoardo Falcone decide di approdare alla regia, e lo fa omaggiando un filone cinematografico a lui caro. Di ambientazione borghese e intento satirico, infatti, Se Dio vuole cerca di riallacciare le fila di quella commedia “all’italiana” che ha spopolato a partire dagli anni ’50, salvo poi trasformarsi irrimediabilmente.

Tommaso (Marco Giallini) è un affermato cardiochirurgo, materialista e ateo convinto. Uno dei suoi due figli, Andrea, avviato verso una promettente e brillante carriera sulle orme del padre, decide però di entrare in seminario e Tommaso, che tutto avrebbe accettato fuorché un figlio prete, si ritrova così a pedinarlo, cercando di scoprire il motivo di una scelta tanto impulsiva. Scopre così dell’esistenza di Don Pietro (Alessandro Gassmann), un sacerdote romanaccio e carismatico che, attorniato da una folla di ragazzi, li introdurrebbe – nell’ottica di Tommaso – sulla cattiva strada.

da queste premesse che si snoda il plot vero e proprio, modellato su uno schema tanto semplice quanto efficace, e su cui si innesta una serie di personaggi che, benché generalmente stereotipati -la figlia ingenuamente superficiale, il businessman idiota, la moglie frustrata e in cerca di uno scopo – adempiono al doppio compito di far ridere e di fornire quel tanto che basta di approfondimento psicologico per veicolare il messaggio del regista.

Perché sì, inutile girarci attorno: Se Dio vuole è un film moralistico, e, alla fine del film, il regista offre una personale soluzione al conflitto, inizialmente così manicheo, tra fede e ragione. Ciò che stupisce e sorprende, però, è vedere come, oltre a proporre una morale, il film sia ben costruito e divertente. facile cadere nel sentimentalismo facile toccando argomenti simili, eppure qui viene mantenuto per quasi tutto il film uno sguardo ironicamente distaccato sulla vicenda; lo svolgimento della trama, con le sue battute e trovate comiche, riesce a rimanere in bilico sulla sottile linea che separa la frivolezza disimpegnata dalla serietà dell’autore che vuole veicolare un messaggio, sbilanciandosi verso quest’ultimo solamente nel finale. Siamo lontani dal caso in cui un regista, volendo infarcire la propria opera comica di contenuti “alti” e chiavi di lettura, finisce per soffocare quell’unico elemento che non può mancare in una commedia: la risata. 

Le situazioni comiche, in controtendenza rispetto alla molteplicità delle produzioni nostrane attuali, imperniate su gag verbali o tormentoni, si basano fortemente sulla mimica e sul capovolgimento delle parti. Come a teatro, capita spesso di ridere ancora prima di aver sentito la battuta, e ciò è possibile solo grazie all’abilità degli attori e a una sceneggiatura semplice ma ben dosata. 

Il filo rosso della pellicola, comunque, rimane lo scontro e il progressivo avvicinamento dei due personaggi principali, il cui rapporto dapprima conflittuale e, in seguito, sempre più ambiguo, è reso efficacemente dall’interpretazione di Giallini e Gassmann. Il loro essere così antitetici ben si amalgama nel corso del film, che, a tutti gli effetti, è un inno all’amicizia disinteressata e all’abbattimento del pregiudizio in ogni sua forma.