Il ritorno de Il Commissario Montalbano su Rai 1, lo confesso, mi fa piacere. Anche se in attesa dei nuovi episodi, di cui sono iniziate le riprese, è il turno delle repliche. Ho letto quindi con interesse l’articolo sulla serie (seppur a partire da un solo episodio) pubblicato su queste pagine. L’autricesostiene che il successo della serie sia dato da “l’aver dimostrato che la comicità e la bellezza, la serietà e la drammaticità degli eventi rappresentano diversi aspetti ugualmente veritieri della realtà di tutti i giorni, la quale, spesso e volentieri, oltrepassa e mette alla prova i limiti della logica umana”. In parte è vero, l’analisi è estremamente puntuale dal punto di vista cinematografico di ripresa e musiche, ma trascura altri aspetti ugualmente importanti e, a tratti, incorre in imprecisioni.
Per prima cosa, all’inizio dell’articolo si paragona Montalbano all’Agente 007. Secondo l’autrice, i due si distinguono per il genere, la colonna sonora, l’utilizzo in Montalbano del dialetto siciliano e il clima di equilibrio tra investigazione e serenità e divertimento che permea la serie di Camilleri. Lode all’autrice per aver individuato questo equilibrio, ma manca una cosa importante: Montalbano è italiano. Non è un dato scontato. Noi telespettatori lo guardiamo anche perché ce lo sentiamo più vicino alla nostra realtà, quasi immaginiamo e un po’ speriamo che in ogni commissariato ci siano persone di una simile correttezza e dedizione alla Giustizia. Già, perché Montalbano crede nella giustizia.
C’è infatti un’affermazione imprecisa: “La Giustizia viene ridotta a ‘tanticchia di legge’ ed è connotata dalla non ufficialità, in certi casi sembra non esistere e anche le varie testimonianze, rigorosamente in dialetto siciliano, sono caratterizzate da una certa ingenuità e superficialità”. Montalbano è fermamente convinto che la Giustizia sia una cosa importante e che le leggi vadano rispettate su tutto il territorio italiano. Quando utilizza l’espressione del ‘tanticchia’ è per criticare quanto pensava una coppia di anziani arrivati da un’altra regione italiana, convinti che in Sicilia la Giustizia non esista. Il commissario si arrabbia di fronte alle parole della coppia e si impunta a dimostrare ai due che anche lì sull’isola le leggi vengono rispettate.
Anche l’ingenuità e la superficialità delle testimonianze fanno parte del valore della serie. Perché nella realtà le persone semplici risponderebbero proprio così a qualsiasi interrogatorio. Molto probabilmente risponderemmo così anche noi, se nel nostro piccolo fossimo coinvolti in un’azione penale e ci trovassimo come testimoni davanti alla polizia: saremmo spaventati e le risposte alle domande non sarebbero certo quelle pronte, fluenti e sicure dei testimoni nei film più blasonati. La familiarità che l’autrice individua nel seguito dell’articolo, non è solo tra Montalbano e lo spettatore, ma tra tutti i personaggi e lo spettatore.
E poi c’è l’interpretazione sul personaggio di Catarella. Egli non rappresenta la comicità che risolve le cose, ma è lì a far capire che chiunque può svolgere un ruolo utile per le persone che lo circondano, anche chi ha poca cultura e viene deriso dalla società. È come se il commissario ci dicesse: “State attenti a deridere, perché potreste non accorgervi di una persona valida; capite e rispettate tutti”.
Mi perdonerà l’autrice se mi permetto di segnalare una piccola imprecisione: Ingrid non è l’amante del commissario, anche se così potrebbe sembrare, ma una semplice amica.
Quindi “la personalità affascinante e gentile del commissario” data per assoluta. In realtà Montalbano sa essere anche determinato e intimidatorio, come quando – sempre nella puntata a cui si riferisce l’articolo – chiama a casa sua e minaccia l’autista dell’ambulanza che trasporta clandestini. E proprio questa personalità sfaccettata a noi spettatori convince e piace.
L’articolo quindi si chiude tacendo un aspetto che caratterizza forse più di tutto il resto la particolarità di Montalbano: il modo in cui viene condotta l’indagine. Il commissario non si limita a considerare gli indizi, ma ha un’attenzione puntuale alle persone, al loro carattere, alla loro psicologia. Fa parte di questo anche il fatto che più volte va a trovare i capiclan (nei loro palazzi o persino all’ospizio) per approfondire i rapporti tra i vari indiziati di un delitto. È questa attenzione all’umanità che gli fa trovare il fil rouge per risolvere i casi.
L’analisi approfondita delle personalità investe anche il commissario stesso: lo vediamo coi suoi dubbi, la sua paura del tempo che passa, i suoi dolori e gli attimi di tristezza. Nella puntata in questione, terribile il suo sentirsi in colpa che gli si legge negli occhi quando si rende conto che, se il bambino clandestino non si è salvato, è anche perché lui l’ha tirato fuori dal suo nascondiglio.
La serie di Montalbano convince perché quella che descrive è un’umanità vera, fatta non solo di uomini e donne bellissimi intelligenti e colti, ma di persone comuni, con mille piccoli difetti, con la loro parlata colma delle sfumature di paese e non asettica, con le loro insicurezze, i loro sbagli.
Complimenti infine all’autrice per aver evidenziato il ruolo del paesaggio: è anche per la sua bellezza che noi spettatori ci incolliamo allo schermo, lo confessiamo.