un’affermazione che competerà, forse, più agli storici che a un critico, ma il primo film degli Avengers ha trasformato il cine-comic da fenomeno popolare a fenomeno di massa. Per gli incassi storici (i terzi di tutti i tempi) ma soprattutto per l’impatto che ha avuto nella definizione del cinema targato Marvel e nell’immaginario collettivo. Joss Whedon si trova così dopo tre anni a dover fare i conti con il proprio stesso successo: ed è un peso che in Avengers: Age of Ultron pare schiacciare la riuscita del film.
Il film che chiude la cosiddetta fase due dell’universo cinematico Marvel vede il gruppo di supereroi capeggiato da Iron Man e composto da Capitan America, Hulk e Thor – con vari agenti dello Shield – dover affrontare Ultron, figlio deviato di un esperimento di Stark sull’intelligenza artificiale il cui scopo è rifondare l’umanità estinguendola.
Scritto dallo stesso Whedon, Avengers: Age of Ultron sembra voler tornare indietro a un’epoca cinematografica in cui un seguito non faceva parte di un progetto narrativo ampio – come l’età d’oro della televisione ha insegnato anche al cinema popolare -, ma era semplicemente una ripetizione in grande dell’originale: più spettacolo, più azione, più personaggi.
E così, l’età di Ultron – che dovrebbe servire ai nostri supereroi a cominciare a riflettere sul loro ruolo all’interno dell’America, sui sacrifici e i valori morali dell’essere un eroe, e anche dei comportamenti del loro Paese per arrivare alle guerre civili e infinite dei prossimi film – è solo un pretesto fantascientifico non troppo incisivo e originale (l’intelligenza artificiale che invade i robot e e internet e si rivolta contro l’uomo) per dare al pubblico schemi e dinamiche del primo film, ma con più ingredienti, come se “più” fosse sinonimo di “meglio”.
L’equilibrio a suo modo perfetto tra personaggi, avventura, effetti speciali e umorismo sembra dissolversi e più che a un film si assiste a un circo in cui i numeri e le sequenze – ora spettacolari, ora comiche, ora intimiste, ora seduttive e via dicendo – si susseguono senza una vera e propria unità, organicità: dispiace soprattutto perché quando Whedon può dare il là al suo talento narrativo i personaggi tirano fuori la loro umanità, i temi diventano intelligenti e adulti (la riflessione sugli Usa e la loro politica estera), l’ironia diventa coinvolgente e tramuta in emozione.
Solo che accade molto meno di quanto i fan dell’autore di Buffy e Firefly vorrebbero e tra sequenze azzeccate e qualche buon dialogo si sente un’eco dell’ispirazione e del progetto alla base degli Avengers, sostituito dal calderone di elementi. Che di sicuro il pubblico gradirà, ma che comincia a scricchiolare e che rischia di saziare troppo e troppo in fretta.