Il primo film di Paolo Cevoli, Soldato semplice, nelle sale cinematografiche in questi giorni, ha alle spalle una storia sui generis nel panorama cinematografico non solo italiano. Cevoli è un comico che deve la notorietà presso il grande pubblico televisivo soprattutto per le gag di Zelig, ma è anche attore di spiccato talento teatrale, che negli ultimi anni ha portato in scena alcuni splendidi monologhi come La penultima cena, storia tenera ed esilarante del cuoco romano che cucinò per lultima cena di Gesù, e Il sosia di lui, dove lui è Mussolini. Soldato semplice è invece la storia di un maestro elementare anarchico romagnolo, che nel 1915 per le sue idee viene radiato dalle scuole del Regno dItalia e costretto ad andare volontario in guerra con gli alpini. Seguono le avventure rocambolesche e paradossali di una guerra che, come tutte le guerre, è già paradossale in sé.
Cè anche spazio per lumanità più vera (ad esempio, nel rapporto che diventerà quasi paterno tra il protagonista e una giovane recluta meridionale, che ha imparato a scalare le pareti rocciose sui faraglioni di Capri e perciò sarà soprannominato lalpino marino) e per il dramma della ferita e della morte, che la guerra porta sempre con sé. In questo sta uno dei pregi del film: Cevoli non ha voluto sfruttare la sua immagine televisiva e zelighiana, non ha puntato tutto sulla macchietta che connetta immediatamente lo spettatore alla sua immagine televisiva, escamotage da cassetta che viene spesso usato dai comici televisivi di immediato ma effimero successo. Anche se alcune scene sono incardinate sullo sketch e la battuta ad effetto, Soldato semplice ricorda più i film brillanti della miglior vena del cinema italiano, che coniugano la centralità di un personaggio, un tipo, alla narrazione di una storia e una situazione: qualcosa vicino, per trovare un esempio, ai film di Alberto Sordi e lontanissimo dalle sguaiate storie dei cosiddetti cinepanettoni, pur rimanendo chiare le caratteristiche romagnole di un Cevoli anarchico, concreto, sbruffone (il pataca, insomma) e anche doloroso e umano.
Loriginalità delloperazione che sta dietro a questo film sta nel fatto che Paolo Cevoli ha realizzato tutto con pochissime forze, soprattutto finanziarie. LItalia è un paese democratico, la libertà despressione è prerogativa di tutti, ma poi sappiamo che allatto pratico non è affatto così. come in politica: teoricamente tutti possono diventare Presidente del Consiglio, in pratica lo diventa chi ha molta disponibilità economica e molti appoggi. I registi italiani che sognano di fare un film sono centinaia: di fatto quelli a cui viene data la possibilità di farlo sono una manciata di nomi, sempre quelli, che hanno appoggi giusti (anche politici), e questa ristrettezza determina il livello un po basso e depresso della cinematografia italiana di oggi, cafona e povera quando dovrebbe essere comica e allegra (forse Zalone è lunica eccezione), nichilista, buia e decadente quando si fa un film drammatico: basti pensare che il top di questo genere è La grande bellezza.
Cevoli il film l’ha fatto, portando sugli schermi, anche per l’ardito suggerimento di amici, una storia che era stata inizialmente pensata per il teatro. Senza l’appoggio di finanziatori, senza il battage pubblicitario riservato a film americani e italiani di fattura molto minore, e senza neppure quello di una grande casa di distribuzione, il film in questi giorni è in più di cento sale e le notizie sono di un buon gradimento del pubblico.
Occorre anche aggiungere, in conclusione, che l’opera è girata in maniera tecnicamente eccellente. Alcune scene di montagna, dove accade la maggior parte delle vicende, sono mozzafiato e ci restituiscono pienamente la maestosità delle Alpi. Fotografia, luci, inquadrature sono molto al di sopra di altri film molto meglio finanziati. Il montaggio è a cura di Simona Paggi, nomination all’Oscar per La vita è bella di Benigni.
Se vogliamo completare doverosamente la critica cercando qualche difetto, la struttura a scenette che talvolta riemerge nella trama lascia qualche carattere di personaggio e qualche dialogo allo stato grezzo, come inconcluso, compreso forse il finale. Sono difetti di scrittura e di regia, perdonabili a un artista coraggioso che scrive e dirige per la prima volta. Ma il fatto che Soldato semplice stia oggi nelle sale, per ciò che abbiamo detto e molto altro, è un inizio totalmente positivo, di un lavoro che auguriamo a noi e a Cevoli ancora molto lungo e possibilmente, in futuro, più sostenuto da chi ha mezzi e potere. Un toccasana per l’asfittico ambiente dei cineasti nostrani, e speriamo un segnale di inversione di tendenza.