Roberto Saviano, nella puntata di Amici trasmessa ieri sera su Canale 5, ha invitato i ragazzi a leggere i libri e per confortare il suo invito ha distribuito al pubblico “Le notti bianche” di Dostoevskij.
Saviano ha spiegato che leggere aumenta il tempo: “Non sono semplici parole, ma qui dentro c’è tempo, tempo per scriverlo, tempo per assaporarlo; avete tra le mani una cosa preziosa in questo momento, non è un titolo, non è un trailer, non è un flash, tempo, qualcosa che starà con voi per un po’, che è stato costruito attraverso tempo. Mi è sembrato sempre quando leggo di moltiplicare il tempo, come se la mia vita non mi fosse mai fino in fondo bastata e leggere mi aumentava la vita”. Poi ha sostenuto che leggere è avere una storia infinita, dal tempo attuale al passato più remoto, è cioè “avere un’immortalità al contrario, è come se ci permettesse di vedere l’intero percorso che ci ha portato qui, quindi vivi di più”. E ha citato Umberto Eco: “Se un uomo invece ha letto muore a 5000 anni”.
Quindi, parlando nello specifico de “Le notti bianche”, sosteneva che nei libri si trova “la potenza rivoluzionaria del sentimento che trasforma il quotidiano”. I libri, secondo Saviano, “sono al posto di qualcosa che ci manca e ci indicano il percorso per trovarla”.
Indubbiamente, il vissuto personale di ognuno ha un ruolo importante e forse determinante nel modo in cui ci si accosta alla lettura, ma mi viene un dubbio di fronte a questo suo discorso: leggere è solo questo? Si deve leggere solo per sperimentare la potenza dei sentimenti?
Ricordo l’apparizione di Beppe Severgnini alla trasmissione “#io leggo perché”. Il giornalista sosteneva che si legge per allenarsi a leggere, perché chi è abituato a leggere libri, non si spaventa se al lavoro il capo gli assegna da leggere un documento di 100 pagine. Chi legge sa quanto questo sia vero. Mi viene in mente un altro esempio, forse più concreto e più vicino alla vita di ogni giorno: in questi anni dove è sempre più diffusa l’abitudine di comperare mobili in pezzi che poi ci si trova a doversi costruire a casa propria, leggere aiuta a non spaventarsi di fronte a nessun libretto di istruzioni.
Saviano ha detto: “Leggere mi aumentava la vita. Ma non è perché ti senti più bravo o hai più nozioni, hai più possibilità di percepire le strade dell’esistenza”. Io non sono d’accordo. Sono convinta che i libri diano più nozioni e che queste nozioni non siano sterili, ma insegnino qualcosa del mondo, ci avvicinino a culture di Paesi che altrimenti non avremmo mai conosciuto e così ci abituino a capire gli altri e a rispettarli. Lo ha ricordato Saviano all’inizio del suo discorso, che non ci sono solo i romanzi, ma anche il libri di poesia e i saggi, ma poi queste due ultime categorie le ha ignorate. Perché?
Chi legge vede più cose degli altri, vede la realtà tutta intera, fino in fondo, e così sa godere anche del più lieve “fruscio che fan le foglie”. Gabriele D’Annunzio, ne “La sera fiesolana”: “mentre la luna è prossima alle soglie/cerule e par che innanzi a sé distenda un velo/ove il nostro sogno si giace”. Penso ai saggi di storia medievale di Jacques Le Goff: chi li ha letti, quando visita edifici o chiese medievali, non vede solo i muri, ma rivede anche tutta la vita che là si svolgeva; passando sotto una meridiana capisce perché ora non si dice più “ora terza, ora nona”, ma “le nove, le quindici”. In questo modo gli edifici del passato non sono semplici mattoni, ma sono una storia che ci parla, la nostra storia, parte dei “nostri 5000 anni.
Leggere ci fa imparare a guardarci dentro, ad ascoltarci. Penso a libri come “Niente e così sia” di Oriana Fallaci. Mi ricordo la prima volta che lessi queste righe: “Tu che non sai perché rido così forte quando rido, e piango così fitto quando piango, e mi accontento di così poco quando mi accontento, ed esigo tanto quando esigo. Tu che non sai come la vita sia molto più del tempo che passa fra il momento in cui si nasce e il momento in cui si muore”. Iniziai a riflettere che anche nel modo in cui si piange e si ride c’è scritta la storia di ognuno. Provate a pensarci anche voi che leggete ora e troverete mille conferme. Poi, alla fine del libro, una delle riflessioni più profonde: “Ma come facevo a non amare gli uomini, questi uomini sempre maltrattati, sempre insultati, sempre crocifissi, ma come facevo a dire che è tutto inutile e a cosa serve nascere e a cosa serve morire? Serve ad essere uomini anziché alberi o pesci, serve a cercare il giusto perché il giusto esiste, se non esiste bisogna farlo esistere”. Leggi e ti chiedi tu cosa stai facendo e inizi a vedere ogni tuo gesto sotto una luce nuova.
Oppure “Terra degli uomini” di Antoine De Saint-Exupéry. “Lavorando unicamente per i beni materiali ci costruiamo da soli la nostra prigione. Ci rinchiudiamo, solitari, con la nostra moneta di cenere che non procura nulla di ciò che val la pena d’essere vissuto. Se cerco quelli tra i miei ricordi che mi hanno lasciato un sapore durevole, se faccio il bilancio delle ore che contarono, ritrovo infallibilmente ciò che nessuna ricchezza sarebbe valsa a procurarmi. Non si compera l’amicizia di un Mermoz, di un compagno vincolato per sempre a noi dalle prove vissute insieme”. Probabilmente questo del bene reale è un messaggio che abbiamo sentito più volte, ma se lo leggi in quello che in quel momento tu senti come il tuo libro, non è come se te lo dicesse un maestro, ma un amico.
Quando ero alle scuole elementari, l’antologia di testi letterari si intitolava “Amico libro”. Ecco, questo sono da sempre per me i libri: amici che ti parlano, amici discreti che non ti giudicano a priori, ma che sanno farti riflettere, ti invitano all’autocritica, ti insegnano cose che nemmeno ti aspetteresti.
E poi c’è un altro motivo per leggere i libri: imparare a scrivere. In questo tempo si scrive tanto: gli sms, i commenti su social network, le frasi d’effetto su twitter, i rapidi botta-e-risposta dei blog, ma è una scrittura telegrafica. Quanti sanno scrivere davvero, per esempio, una lettera motivazionale a corredo di un curriculum? O una lettera d’amore? O una comunicazione formale al proprietario di casa? O anche solo un biglietto di auguri che non si limiti alle solite frasi di circostanza? Chi legge impara a destreggiarsi tra i registi linguistici e a giocare con le migliaia di parole della nostra lingua, ognuna con una sua potenza espressiva, e riesce così a esprimere per scritto i propri sentimenti, le proprie aspirazioni, le aspettative, le ragioni. E non è poco.
Chi legge sa riflettere su se stesso e sugli altri, chi legge è poco manovrabile dall’ufficialità e dalle folle. Non è solo una questione di sentimenti. È questo il potere dei libri, che ha sempre fatto paura ai regimi totalitari. Quanti libri bruciati. È il Bradbury delle pagine di “Fahrenheit 451”.
È bello leggere e bisogna invitare tutti a leggere, non solo per trovare un sentimento che ci manca, ma perché i libri cambiano il modo in cui ti accosti alle persone, il modo in cui ti proponi alle persone, il modo con cui percepisci e vivi il mondo. Per tutte queste ragioni dissento da Saviano: i libri danno enormemente più possibilità di percepire le strade dell’esistenza. Quando Flaubert (citato da Saviano) scrive “leggete per vivere” intende questo.
Ma anche questo fa parte delle magia della lettura: che scrittori che non ci sono più continuano a parlarci e non smettono di dire a ogni lettore quello che lo riguarda.