“Andate all’Expo!” ci intima via mail con piglio di capitano il direttore del Sussidiario. “Per far che, mangiare tutto il giorno? Mica siamo i ComiGastri, noi!” gli rispondiamo via mail per pigliarlo un po’ in giro. Ma subito ribatte via mail con severo cipiglio: “Andate tra i padiglioni, assaggiate tutto ciò che potete e riferite ai nostri lettori: non sto scherzando!”. Il tempo di aprire i padiglioni, e noi siamo già lì in piazza Italia. Avanti e indietro per il decumano, su e giù per il cardo. Lo splendore dell’Open Air Theatre e l’immensità della Lake Arena, grande una volta e mezza piazza Duomo. “Tutto molto bello” avrebbe esultato Bruno Pizzul. 

Entrati alle 9 in punto, a mezzogiorno siamo già belli che stremati. Alle 12:30 il nostro girovagare a zonzo si trasforma in languore. All’una la nostra fame è già bella che apparecchiata, nella sola incertezza di quale strada prendere. Siamo stati in grado, nei tre giorni di nostra permanenza all’interno dei padiglioni (non siamo rientrati alla base nemmeno per dormire, i posti per nascondersi non mancano di certo) di schedare la quasi totalità dei “luoghi del cibo”, dal ristorante più caro (l’alta cucina del Minokichi, nel padiglione Giappone: oltre 200 euro per due) al più economico (il Meydan, nel padiglione Turchia: solo 20 euro a coppia). Fino all’assaggio perfetto, quello, come si dice sotto la Madonnina in un italiano imperfetto, a gratis (Le Bistrot du Lion, nel padiglione Francia, che offre assaggi sans argent di formaggi tipici). 

Il matrimonio perfetto sarebbe con un bel bicchiere di vino, ma se si vuole bere senza spendere un centesimo, meglio mettersi in fila allo stand della Coca Cola, che regala bottiglie a tutti i visitatori del padiglione. Sono, invece, 9 i ristoranti che servono prodotti gluten free (nei padiglioni Israele, Italia, Gran Bretagna e Paesi Bassi) e 24 quelli in cui è possibile gustare piatti vegetariani. Una tentazione dietro l’altra, con rischi connessi a gusti, tradizioni, alimenti a dir poco improbabili.

Abbiamo così esordito nel padiglione dell’Inghilterra. Un simpatico e ben pasciuto cuoco, originario di Winchester, ci ha fatto assaggiare una brodaglia che poco aveva a che fare con i più classici consommé. Noi abbiamo cercato di fare buon viso a cattiva sorte, incassando la storia (più probabile che sia una leggenda) della ricetta. Sta di fatto che a Winchester, Inghilterra del Sud, si tramanda ancora oggi di padre in figlio come i Cavalieri della Tavola Rotonda (siamo nel V secolo d.C.) si ritrovassero, quasi tutte le sere e all’insaputa di Re Artù (ormai diabetico) alla locanda “Al biscotto Lancillotto” con il solo intento di poter mettere sotto i denti qualcosa di decente. Cacciagione, soprattutto. E poi la specialità della casa: il dolce che dava il nome alla locanda, a base, appunto, di “biscotto savoiardo del Bardo, mascarpone di Excalibur, caffè nero di Morgana”. 

Ma quale mistero si celava dietro questi ritrovi misteriosi e clandestini? Una congiura contro lo stesso Artù? Niente affatto! I Cavalieri trovavano piacevole scampo dalle ricette culinarie, stravaganti al limite della nausea, che il mago Merlino quotidianamente proponeva alla mensa della Tavola Rotonda. Si badi che in lingua celtica il nome di Merlino era “Myrddin Wyllt”. Da allora sino ancora ai nostri giorni, a Winchester quando una moglie sbaglia le dosi o prepara una pietanza immangiabile, i mariti sono soliti uscirsene con questa esclamazione: “Cara, lasciatelo dire: cucini proprio di Myrddin!”.

Orgogliosi di questa lezione di storia, non possiamo tuttavia disattendere ai compiti di assaggio che il nostro direttore ci ha intimato. Perciò, al netto di quantità-varietà-originalità, ci permettiamo di segnalarvi l’eccellenza, ovverosia 5 piatti degni di nota che varrà la pena degustare, per coloro i quali avranno la compiacenza di visitare i padiglioni e seguirci in questa hit parade godereccia.

5° posto: Maltagliati Malcucinati Malserviti Maldigeriti (padiglione del Mali). È proprio il caso di dirlo: non tutto il Mali vien per nuocere. Questo spezzatino soffritto nella cipolla di olio d’arachidi (di cui il Paese è tra i leader della produzione mondiale) è davvero niente… Mali!

4° posto: Minestra di verdure a farro e fuoco (padiglione delle isole Far Oer, dove “Far” sta per farro che cuoce lento su di un fuoco per diverse “Oer”). Classico minestrone di farro, affumicato però in legno di pino delle cascate Bosalafossur (nei pressi dell’alta scogliera Geituskoragrangur), deve essere mangiato bollente, e subito accompagnato da un boccale di ghiacciatissima birra Restorffs Gull, con immediato effetto paralizzante. Da provare almeno una volta nella vita! Forse l’ultima…

3° posto: Ossimori di osso buco con ossi di seppia (padiglione dell’Ossezia). L’accostamento di due prelibatezze in antitesi, quali l’osso buco e l’osso di seppia, crea un effetto parad’osso assolutamente da gustare. Provare per credere, avrebbe detto Aiazzone!

2° posto: Pasta freddata con pan Le Carrè (padiglione della Groenlandia). C’è una ricetta segretissima, con qualche ingrediente noir, dietro il misterioso sapore di questa pasta fredda che ci ha letteralmente conquistati. Abbiamo cercato di inventarci spie, intrufolandoci in cucina… niente da fare. Colti con le mani nel sacco, siamo stati freddati da un energumeno con cappello da chef che ci ha urlato incomprensibili parole inuit.

1° posto: Uovo d’onore (padiglione della Sicilia). L’Italia esce vincitrice dal confronto culinario, con questa ricetta semplice, tradizionale, poco costosa, alla portata di tutti. Roba di casa nostra, dunque. O forse meglio, di cosa nostra… C’è un ingrediente segreto? E le dosi? Come si prepara l’uovo d’onore? Quanto contano i tempi di cottura? Abbiamo chiesto in giro, investigato tra i fornelli, interrogato cuochi, camerieri e testimoni vari, ma sulla ricetta vige la più assoluta omertà…