Dopo dieci giorni di tappeti rossi, indiscrezioni, star provenienti da tutto il mondo e film, tanti film, si è conclusa la 68a edizione del Festival di Cannes, forse l’evento più prestigioso dedicato alla settima arte. La sua capacità di catalizzare l’attenzione della stampa mondiale lo rende, ancor prima del fatto di essere un vero e proprio evento mondano, uno dei più importanti traguardi per un artista già affermato, oltre a essere una pedana olimpionica capace al tempo stesso di far spiccare il volo o di affossare definitivamente la carriera di un regista emergente.

Il festival è finito, la Croisette si svuota, e l’Italia rimane a mani vuote. Né Moretti, né Garrone, né Sorrentino sembrano aver convinto appieno la giuria, presieduta dai fratelli Joel ed Ethan Coen e formata, tra gli altri, dall’attrice francese Sophie Marceau e dal regista Guillermo del Toro. Un giudizio, quello della giuria, che sembra non aver convinto del tutto la stampa italiana presente a Cannes, la quale ha potuto assistere in prima persona a tutti i film in gara: la Francia in particolare, che pure si è portata a casa tre premi su dieci, avrebbe presentato delle pellicole non all’altezza delle aspettative, e molti, alla luce di ciò, avevano iniziato a sperare seriamente in un jackpot tutto italiano. 

Ma tralasciando i rumors, e attenendomi solo a ciò che ho potuto constatare con i miei occhi, dispiace – come cinefilo, ancor prima che come italiano – vedere come tre film di qualità, così diversi per stile e tematiche, non siano riusciti a fare breccia nella giuria e, di conseguenza, a far tornare il cinema italiano sotto i riflettori. 

Tra i tre, Mia Madre di Moretti pareva essere il favorito, a giudicare dallo scroscio di applausi al termine della proiezione. E, in effetti, tra le bizzarrie barocche di Garrone – che pure era il mio favorito, con il suo strabiliante Il Racconto dei Racconti – e le derive intellettualistiche di Sorrentino, Moretti sembrava indicare la terza via vincente, quella che avrebbe potuto mettere d”accordo pubblico, stampa e giuria grazie a una storia profondamente drammatica ma al tempo stesso sottile, schiettamente intimistica. 

Alla sobrietà di Moretti fa da contrappeso l’ingombrante mano autoriale di Sorrentino e il suo Youth, altro film meritevolissimo ingiustamente fischiato da una parte della critica italiana. Amatissimo all’estero, anche se forse più dal pubblico d’Oltreoceano, anche il regista premio Oscar ha optato per toni più leggeri rispetto al suo film precedente, senza però tradire il proprio riconoscibilissimo stile. 

Ultimo, ma non per merito, Il Racconto dei Racconti di Garrone è la pecora nera del trittico italiano a Cannes. Un fantasy oscuro e barocco laddove gli altri due hanno scelto la via della sottrazione; un film fatto di immagini più che di parole, avvicinabile agli altri solamente per la presenza di un cast internazionale, nonché per la comune ripresa, a livelli diversi, del cinema di Fellini. Pur superando Sorrentino e Moretti nella mia personalissima classifica, le speranze che Garrone figurasse nel palmares erano, ahimè, piuttosto basse: del Toro a parte, difficile che il resto della giuria potesse apprezzare un film così “strano”, atipico e privo di morale, se non quella, antica come l’essere umano, del piacere di raccontare fine a se stesso. 

Un cocente nulla di fatto, insomma, che però non cancella i risultati più che discreti che i tre, Sorrentino in testa, stanno ricevendo al botteghino. Al di là dei gusti della giuria, e in attesa di vedere gli altri film in concorso, è il pubblico a decretare il successo o meno di un film, spesso in barba al giudizio di critica, festival e premi.