Capita raramente, ma questa volta, il titolo italiano di un film non fuorvia lo spettatore: rispetto all’originale “A Little Chaos” (Un po’ di caos), la versione nostrana Le regole del caos mette in luce il cuore del secondo film di Alan Rickman, a 17 anni dall’esordio con L’ospite d’inverno. Da una parte la formalità, il protocollo e il rispetto delle norme sociali e di corte, dall’altra la follia nel senso passionale e nel senso sociale del termine. 

Il film racconta la storia della costruzione del giardino della reggia di Versailles e del rapporto tra il progettista Le Notre e la giardiniera De Barra, i quali dovranno sfidare le difficoltà del progetto stesso e delle invenzioni ingegneristiche, le diffidenze di sesso rispetto a madame De Barra e il rapporto scomodo tra i due, sotto lo sguardo severo di Luigi XIV.

Rickman (celebre nel ruolo di Piton nella serie di Harry Potter o come rivale di Bruce Willis nel primo film di Die Hard, Trappola di cristallo) – su sceneggiatura di Alison Deegan – in questo dramma storico venato di melodramma non si limita solo alla dicotomia tra formalità e trasgressione in chiave di racconto, ma cerca di inserirla anche nella messinscena, provando a far irrompere nell’accademismo britannico del cinema in costume una brezza di imprevisto, toni più sporchi, scelte di regia più bizzarre. 

Per cui in una storia tipica di uomini e donne che cercano di sfidare le convenzioni, e che per buona parte si rifà alle convenzioni del cinema british come la perfetta ricostruzione storica e ambientale, la cura della messinscena, i sentimenti soprattutto quelli inesplosi che segnano la narrazione, Rickman si diverte a far dirompere piccole cariche di bizzarria, di umorismo soffuso (gustoso l’incontro in incognito tra il re e Sabine), di inquadrature fuori contesto, di personaggi sopra le righe (il solito Stanley Tucci bisessuale). Ci riesce solo a metà il regista, finendo per appesantire il ritmo mano a mano che il racconto procede e perdendo la rotta verso il finale, superfluamente tragico e infarcito di toni stridenti e flashback inutili.

Ma sono difetti che si possono sopportare, seppure incrinano il giudizio del film, soprattutto alla luce del brio che qua e là filtra dalle prove degli attori, che come da tradizione sono impeccabili; ma sono soprattutto le attrici a colpire l’occhio: come una Kate Winslet di alto livello (e non è affatto una novità) e una sorprendente Helen McRory nei panni di Madame Le Notre.

Ma sono difetti che si possono sopportare, seppure incrinano il giudizio del film, soprattutto alla luce del brio che qua e là filtra dalle prove degli attori, che come da tradizione sono impeccabili; ma sono soprattutto le attrici a colpire l’occhio: come una Kate Winslet di alto livello (e non è affatto una novità) e una sorprendente Helen McRory nei panni di Madame Le Notre.