Un personaggio-narratore, inquadrato di spalle, con una voce fuori campo (voce-over in una polarizzazione-enunciatore), introduce un lungo monologo interiore che racconta la sottile e grottesca ironia della sorte nella sua vita: «Non c’è niente di certo nell’esistenza tranne due cose: la prima è la morte, la seconda il mio non programmato ritorno in Sicilia. Così inizia un colorato, ipnotico e spiazzante mistero intitolato Fuori dal coro (regia di Sergio Musiraca) a partire da Terrasini, un piccolo paesino affacciato sul mare della Sicilia. 

La musica jazz e il canto del coro che intona “Osanna è Cristo Signor” nell’iniziale piano-sequenza, all’interno della chiesa del paese, si evolvono in inquadrature dalle molteplici angolazioni a partire dal basso. I campi lunghi del meraviglioso paesaggio sul mare e il clima sereno fungeranno, così, solamente da semplici quinte del pericolo che piomberà sulla scena, sconvolgendo la vita di due ignari ragazzi nullafacenti: Nicola (interpretato da Alessio Barone) e Dario (interpretato da Dario Raimondi). Il secondo, appena laureato e ingenuo, purtroppo trascinerà suo zio Tony (interpretato da Alessandro Schiavo), Nicola e se stesso in un complicato vortice di sogni, incubi e realtà, che avrà il sapore di una commedia nera in cui niente è ciò che sembra. 

La vicenda, infatti, si connota immediatamente per la sua doppia ed esplosiva natura di commedia road movie e noir/pulp alla stregua di Taxi Driver. L’elemento scatenante è quasi banale: la consegna di una busta in cambio di una segnalazione professionale, ignorandone purtroppo però le tragiche conseguenze. La partecipazione a un coro basterà, dunque, a mettere a posto la coscienza? 

Per tutta risposta, l’intreccio narrativo è diviso in tre parti scandite dall'”uccellino” Dario: il passaggio da un genere all’altro verrà sottolineato dal mutamento dell’illuminazione in chiave alta propria dell’ambiente soleggiato e del suo viaggio tranquillo iniziale dalla Sicilia verso Roma, all’illuminazione in chiave bassa della precipitosa fuga nel tentativo di recuperare la busta smarrita, all’oscurità del triste finale. Simboli di questa iperbolica evoluzione della vicenda sono l’auto di Nicola e la strada, prima chiara e rassicurante, poi sempre più minacciosa nella notte piena di incognite. L’immensità del mare turchese e gli ampi spazi di Terrasina verranno così compromessi, in un’atmosfera sempre più cupa, trasformandosi in loschi nightclub, sale da biliardo teatri di scioccanti violenze, feste balcaniche con musica folk che stordiranno lo spettatore di fronte al dramma imminente. 

In un contesto in cui la musica Techno e di genere Western accompagnerà il futuro regolamento di conti, anche i personaggi, a poco a poco, demoliranno le loro “maschere” per svelare la loro vera natura: Giovanna (interpretata da Emanuela Mulè) a prima vista dolce professoressa, sarà poi coinvolta nel riciclaggio di denaro sporco e moglie del “Professore” che pagherà a caro prezzo i suoi vizi illeciti e immorali; Pancev (interpretato da Ivan Franek) e Silvia (interpretata da Marta Richeldi), semplici amici di Rosario (interpretato da Sergio Vespertino), si trasformeranno alla fine in killer professionisti; Maria (interpretata da Aurora Quattrocchi), da premurosa amica di Tony, diventerà una fallace soluzione della scabrosa vicenda, così come anche Palminteri (interpretato da Antonello Puglisi), sarà un contatto diretto con il famigerato slavo Pancev assoldato da Pidocchio (interpretato da Salvo Piparo), spacciatore di droga. Infine, lo zio Tony Scribba, tramite fondamentale per la consegna, non riuscirà a rinnegare la sua indole violenta e di ghiaccio, simboleggiata da un Negroni: sotto gli occhi sempre più atterriti del nipote si trasformerà, purtroppo, in un feroce assassino. Quando Dario e Nicola, come uccellini adescati dalla promessa di un futuro migliore, capiscono di essere caduti in una trappola, è troppo tardi. 

A mio parere questo è un film molto interessante perché dotato di un fascino magnetico che ridisegna continuamente le aspettative di chi lo guarda. Il risultato è un’entusiasmante trama dal ritmo incalzante, che riflette gli stati d’animo contrastanti dei protagonisti fino alla fine, grazie a un’avvincente operazione di regia e di montaggio a metà tra True Romance di Quentin Tarantino e Taxi Driver di Martin Scorsese. Il film merita di essere visto per un giocoso insieme di dettagli, soggettive con brusche e comiche interruzioni, dissolvenze in chiusura, flashback e un rallenty finale.

Le parti di commedia diventeranno, infatti, semplici diversivi per una sorprendente rivalutazione positiva del crimine, dove il coro a colori della sicura Chiesa lascerà il suo posto d’onore a uno sconcertante e ammaliante complesso, in bianco e nero, di vittime e carnefici.