Francesco (Mauro Racanati) è nato senza gli arti superiori, e la sua quotidianità è costellata di piccoli accorgimenti volti a compensare la mancanza. La madre Grazia (Elena Sofia Ricci) e l’amico Stefano (Gabriele Granito), in particolare, fanno di tutto pur di aiutare il ragazzo, anche a costo di togliere del tempo alla propria vita privata. Ciò che più preme all’ormai ventenne Francesco, però – cosa che nessun espediente pratico può risolvere facilmente – è la difficoltà ad avere una vita sessuale disinvolta a causa della propria disabilità. Noi siamo Francesco affronta la maturazione del protagonista grazie all’aiuto delle persone che gli stanno attorno, fino ad arrivare ai primi contatti con l’altro sesso.
Il titolo è programmatico, e mette a fuoco sin da subito i motivi per cui la regista, Guendalina Zampagni, ha deciso di portare sul grande schermo una storia così particolare: la parabola che Francesco si trova a percorrere riflette, amplificandoli, gli stessi problemi che qualsiasi adolescente affronta nel momento in cui deve rapportarsi con l’altro sesso. Mettere in scena la disabilità è un espediente efficace per parlare di tematiche universali, quali l’amicizia e il bisogno di affetto.
Il rapporto tra Francesco e Stefano è emblematico dell’approccio che il film ha con la disabilità, e che, in una parola, potrebbe essere definito “documentaristico”. La pellicola, infatti, sfugge dal moralismo in cui è fin troppo facile cadere trattando una simile tematica, e, anzi, riesce a costruire un’amicizia credibile, realistica e sincera nonostante una recitazione non sempre all’altezza. Anche il comportamento degli altri personaggi principali risulta nel complesso convincente, anche se la scrittura soffre di una certa mancanza di profondità.
In un film che punta così tanto sul lato emotivo e psicologico, comunque, i problemi della scarsa introspezione si fanno sentire tutti, e non bastano un paio di dialoghi conflittuali a far emergere fino in fondo ciò che passa nella mente di un ragazzo come Francesco. La sincerità nel trattare argomenti considerati tabù o inadeguati è lodevole, ma l’ottimismo generale della pellicola tende spesso e volentieri a far sorvolare sugli aspetti più drammatici della vicenda, tutto in funzione dell’inevitabile lieto fine.
Noi siamo Francesco non è propriamente una commedia, né un film drammatico; si ride poco e altrettanto poco ci si ferma a riflettere, anche laddove lo richiederebbe la portata dei temi sollevati. Si è cercato di percorrere la strada della leggerezza, senza però tenere conto che il confine tra leggerezza e povertà di idee è facilmente confondibile.
Lo si potrebbe definire un film di formazione “all’acqua di rose” che, a fronte di una buona dose di difetti, ha il pregio di aver istituito un felice parallelismo tra la situazione particolare di Francesco e, tra le righe, le fasi che un ragazzo o una ragazza qualsiasi si trovano, presto o tardi, ad affrontare.