A fronte di una ricezione critica non sempre lusinghiera, il primo Ted è entrato di diritto nella mia personalissima top 10 delle commedie più divertenti degli ultimi anni. Quello che gli mancava dal punto di vista della profondità e della sottigliezza veniva ampiamente ripagato da una valanga di citazioni e da una comicità al limite del politically correct, non troppo irriverente per essere definita “impegnata” ma abbastanza per far contenti i fan de “I Griffin” (serie a cartoni animati il cui ideatore, Seth MacFarlane, è anche regista di Ted). Da soddisfatto fruitore di questo tipo di comicità, quindi, è con una certa trepidazione mista a scetticismo che ho accolto l’annuncio di un seguito.

Ambientato qualche anno dopo il primo film, con la relazione tra John Bennett (Mark Wahlberg) e Lori ormai in frantumi, Ted 2 si apre con il matrimonio dell’orsetto Ted (doppiato, nell’originale, dallo stesso MacFarlane) e la sua collega di lavoro. Ben presto, però, la vita di coppia si rivela insostenibile, e la decisione di avere un figlio sembra essere l’unico modo per risolvere la situazione; decisione questa che, se può risultare facilmente attuabile per una coppia “normale”, presenta qualche problema pratico alla luce del fatto che Ted è un orsetto di pezza. Si aggiunga a questo incipit il fatto che Ted, secondo la legge, non può essere considerato una “persona”, ed ecco che il carburante per un buon sequel c’è tutto. 

Il tentativo di autoaffermazione di Ted, aiutato dall’amico John e dalla giovane ed eccentrica avvocatessa Samantha (Amanda Seyfried), è il tema portante del film, che si distingue dal predecessore per una più marcata componente riflessiva. Nulla di troppo elaborato – il focus rimane sempre e comunque sulla comicità, qui più diretta e “becera” che mai -, ma, per quanto possa sembrare assurdo, dietro alla vicenda di Ted è facile leggere in filigrana la critica a una società che emargina tutto ciò che esula da un fantomatico, chimerico ideale di “normalità”.

Ma la critica è semplicemente un contorno, la ciliegina sulla torta in un film che non avrebbe ragione di esistere senza la componente comica. Fortunatamente MacFarlane non ha perso lo smalto del primo capitolo: se è vero che la maggiore insistenza, rispetto al primo capitolo, su battute a sfondo sessuale rende gli sketches molto più prevedibili, la quantità esorbitante di citazioni alla cultura pop contemporanea (e non) basta a elevare Ted 2 ai livelli del prequel. Da riferimenti palesi come il nome dell’avvocatessa (Samantha Leslie Jackson, ovvero Sam L. Jackson) o il ritorno di Flash Gordon, MacFarlane si addentra in una serie di citazioni più nascoste che vanno da Il signore degli anelli a Cenerentola, da Neil Diamond a Jurassic Park. Ancora, la decisione di ambientare un’intera sequenza al Comic-Con (uno dei più importanti festival mondiali dedicati a cinema, fumetti e arti in generale) permette al regista di sguazzare nel sottobosco pop e postmoderno in cui è cresciuto, e in cui molti dei fan delle sue opere possono riconoscersi. 

Avendolo visto in originale mi manca un tassello essenziale per poter giudicare una commedia di questo tipo, ovvero il doppiaggio; ripensando al primo, però, posso affermare con sufficiente ragionevolezza che il doppiaggio italiano manterrà lo stesso ritmo dell’originale, benché il rischio di perdersi per strada alcuni giochi di parole difficilmente traducibili rimanga alto. 

Volgarità e black humour a 360 gradi sono la cifra stilistica di quella che, a giudicare dal finale, sembra voler diventare una trilogia, se non una vera e propria saga. Oggettivamente parlando il film ha delle pecche, prima tra tutti la prevedibilità estrema di alcuni snodi della trama e delle battute; chi ha apprezzato il primo Ted, però, troverà in questo seguito una buona dose di risate aggiuntive, oltre a sequenze insospettabilmente “serie” come le arringhe in tribunale (ben costruite anche dal punto di vista retorico).