Tra i tanti ospiti che delizieranno questa sera il pubblico di Rete 4 durante l’evento Una serata…Bella per te, Gianni! vi è anche il cantante Mario Biondi. Definito da più parti e in più di un’occasione il “Barry White italiano”, il diretto interessato ha ammesso che da giovane non possedeva neanche un album del grande Barry. Il bianco con la voce calda da nero, il “soul man” italiano, tanti gli appellativi coniati per definire Mario Biondi, catanese classe 1971. Nato Mario Ranno, eredita dal padre il cognome d’arte “Biondi”, creato goliardicamente per sottolineare come nella sua famiglia, ricorda lo stesso Mario, avessero tratti fisici tipicamente normanni: alti, robusti e appunto biondi. Il “piccolo” Mario non fa eccezione con una crescita piuttosto precoce che lo porta fin dalla prima adolescenza a sviluppare un’altezza inconsueta e un timbro vocale insolitamente profondo.



Biondi scopre molto presto la passione per la musica anche grazie all’influenza del padre, a sua volta cantante. A partire dai 12 anni diventa presenza fissa in un coro di chiesa, lavorando negli anni successivi in alcuni piccoli studi di registrazione e decidendo, alla soglia della maggiore età, di dedicare tutto se stesso alla carriera musicale. Biondi comprende molto presto che la sola lingua italiana potrebbe limitarlo, e al perfezionamento del proprio talento musicale accompagna anche un irrobustimento della conoscenza della lingua inglese. Arrivano presto le prime piccole grandi soddisfazioni: il giovane Mario si trova a fare da “apripista” per concerti di artisti come Ray Charles, traendo nel frattempo ispirazione da cantanti internazionali (Al Jarreau, Isaac Hayes) e italiani (Fred Bongusto, Franco Califano, Gianni Bella). Il suo modello sono i Crooner americani alla Frank Sinatra, cantanti che hanno il loro asso nella manica in uno stile quasi sussurrato, artisti in grado di rivelarsi intrattenitori carismatici oltre che semplici cantanti.



La voce profonda che sviluppa già in giovane età costituisce di certo un valore aggiunto in questo senso, aiutandolo a orientarsi verso generi come il soul e il jazz, con una spruzzatina di pop in chiave più moderna. In un’epoca di boy-bands spesso precoci ma di successo effimero, la fama vera e propria per Biondi arriva con relativo ritardo, tra il 2004 e il 2006 con il singolo “This is What You Are”. Il brano sarà il trascinatore del suo album d’esordio “Handful of Souls”, inciso con gli “High Five Quintet” e che riscuoterà un successo immediato che gli varrà più di un Disco di Platino. L’anno dopo, il successo sarà replicato dall’album live “I Love You More” registrato al Teatro Smeraldo di Milano, sempre accanto agli “High Five Quartet” e con la presenza di un’orchestra diretta da Beppe Vessicchio. Sempre nel 2007 è ospite al Festival di Sanremo, duettando con Amalia Grè.



Al Festival tornerà anche nel 2009 duettando con la Nuova Proposta Karima Ammar. Biondi riceve anche proposte legate a film d’animazione, di fronte alle quali non si tira indietro: nel 2008 partecipa infatti al remake de “Gli Aristogatt”i come cantante delle due principali colonne sonore, mentre nel 2010 doppia Uncino nel film “Rapunzel”. La fine degli anni 2000 è davvero un periodo d’oro, culminante con il successo dell’album “If”, realizzato in collaborazione con un’orchestra inglese e numerosi musicisti da tutto il mondo. L’opera varrà a Mario Biondi altri tre dischi di platino e una fama crescente anche al di fuori dell’Europa. Il successo sarà confermato anche per i successivi album “Sun” e “Beyond”, ma ciononostante non sembra davvero esserci traccia di vanità nelle sue parole. Mario continua a difendere il proprio privato con le unghie e con i denti, lasciando solo trasparire parole d’amore per la propria famiglia attuale e per le sue mai dimenticate radici siciliane.?