Una faccia, una razza. Il tormentone che da sempre lega greci e italiani e in questi giorni assume sfumature minacciose, visto il timore di veder ridotte le economie statali come quelle greche. Un tormentone che Gabriele Salvatores veste di sfumature ironiche in Mediterraneo, il suo film del 1991 che lo consacrò a livello internazionale, facendogli vincere lOscar per il film straniero sconfiggendo film di richiamo più forte come Lanterne rosse di Zhang Yimou. Ma il film aveva tanti elementi per essere apprezzato oltreoceano.
La pellicola racconta di un piccolo plotone mandato in Grecia per stabilire un presidio dopo loccupazione tedesca: qui, vista la solitudine e lisolamento radio, gli uomini ne approfittano per godersi il luogo e la presenza di donne e bambini che poco a poco si fidano di loro. Da questo punto di vista solitario e privilegiato sulla guerra, i protagonisti capiscono qualcosa in più di loro stessi e del Paese a cui presto dovranno tornare. Almeno non tutti.
Scritta da Enzo Monteleone, Mediterraneo è una commedia dallo sfondo drammatico che chiude la trilogia della fuga di Salvatores aperta da Marrakech Express e proseguita da Turné e che racconta lItalia e gli italiani mescolando disillusione e stereotipi, voglia di esotismo e dettaglio psicologico, consolazione e amarezza.
Un film corale e generazionale costruito col senno di poi, che da una parte racconta e giudica la Storia alla luce del presente e dellaltra invece usa il contesto storico per descrivere i 40enni che stanno a cuore da sempre al cinema di Salvatores: così il rapporto tra Italia e Grecia passa da una riflessione sullaltro da sé a una commedia in cui il centro è trovare il proprio posto nel mondo ovunque esso sia, nellintegrarsi con altre culture e costumi ritratto con un pizzico di estetismo turistico utile per dare la patina di sogno e paradiso al film.
Un mix praticamente perfetto per piacere a più gente possibile, per poter essere esportato con successo, in cui Salvatores dosa la sua abilità nel costruire i personaggi e nel dirigere gli attori – la band Salvatores al completo, da Abatantuono a Bigagli, da Cederna ad Antonio Catania – con forti dosi di furbizia, cliché localistici e carinerie tipiche del cinema anni 90, soprattutto nei toni sempre troppo delicati.
Eppure, fatta la tara sugli elementi più superficiali, Mediterraneo sa comunicare la voglia di altrove di un’intera generazione e di un intero popolo, facendo comunicare il passato e il presente attraverso un film confezionato ad arte, ma anche capace di lanciare tracce di sincerità, di coinvolgimento ed efficacia che gli hanno fatto passare quasi indenne 20 anni di cinema, ponendosi come un piccolo classico di cinema malinconico made in Italy.