In seconda serata, tutti i martedì, lappuntamento su Canale 5 è con Top Secret, il programma di videonews curato e condotto dal direttore della testata Claudio Brachino. Ogni appuntamento è ricco di inchieste e approfondimenti. Nella puntata di stasera spazio sarà dato alla storia di Anders Breivik, lomicida che in Norvegia, nel 2011, ha ucciso 77 persone in un campo estivo, prima ad Oslo e poi sull’isola di Utoya. Il suo nome viene ormai associato alla fine di un’epoca per il suo paese, quella in cui si pensava che la xenofobia non avrebbe mai attecchito in Norvegia. Paradossalmente, la xenofobia è invece rimasta solidamente ancorata alla mente di Anders Breivik, spingendolo a dare luogo ad un gesto eclatante che, nelle sue intenzioni avrebbe dovuto inaugurare una vera e propria guerra contro gli stranieri.



I fatti di quella tragica giornata sono abbastanza noti. Il tutto è iniziato con una serie di esplosioni che hanno investito gli uffici dove operava il Primo Ministro norvegese, Jeons Stoltenberg, e devastato numerose altre sedi del governo, provocando le prime vittime. Un preludio alla vera e propria carneficina avvenuta due ore dopo, quando il killer si è spostato sull’isola dove si erano riuniti centinaia di adolescenti tra i tredici e i quindici anni, insieme a dirigenti del partito labustrista, dove era peraltro atteso in qualità di ospite d’onore il Premier. Nel processo, celebrato un anno più tardi, Breivik non ha mostrato il minimo segno di ravvedimento, tanto da spingersi provocatoriamente a chiedere perdono ai suoi camerati per non avere ucciso più persone e a eseguire il saluto nazista. Condannato a 21 anni. Una condanna salutata con soddisfazione dai parenti delle vittime, ma apparsa troppo lieve ad una opinione pubblica rimasta scioccata dall’accaduto. Il suo attacco era stato pianificato in maniera assolutamente meticolosa: Breivik aveva infatti provveduto ad acquistare i componenti necessari per assemblare l’ordigno da far esplodere nel cuore politico della capitale, facendo affluire i servizi di sicurezza nel centro della capitale, avendo così modo di portare avanti in tutta tranquillità la sua mattanza a Utoya.



Il tutto, per spingere i suoi connazionali, come poi confessato, a prendere le armi contro l’invasore islamico. Per fortuna il suo gesto non ha avuto la reazione desiderata, spingendo anzi i norvegesi nella direzione opposta, con una serie di manifestazioni contro qualsiasi forma di violenza e razzismo che hanno dimostrato come la xenofobia sia ancora rifiutata da un paese di solida civiltà. Un atteggiamento condiviso da quel momento anche dai media, i quali hanno cercato di inquadrare la riflessione sul multiculturalismo in un contesto più problematico, lasciando da parte i facili sensazionalismi e le analisi ritagliate con l’accetta, che pure avevano spesso fatto capolino prima della strage di Utoya. Per capire meglio cosa sia successo, è però necessario cercare di capire chi sia Andres Breivik. Nato a Oslo nel febbraio del 1979, sembrerebbe a prima vista un normalissimo ragazzo norvegese. Una impressione che però è stata nettamente smentita da una indagine più approfondita sulla sua persona. A partire da una giovinezza trascorsa allinsegna di una cultura razzista, che ha inciso in maniera decisiva sulla sua evidente debolezza psicologica. Tanto da portare gli specialisti a formulare una diagnosi che sembra chiarire molti dei motivi delle sue orrende gesta, guidate da un disturbo della personalità, tale da spingerlo ad essere contemporaneamente paranoico, narcisista e antisociale. A spiccare in particolare sarebbe la sua totale mancanza di empatia con le altre persone.



Un problema che contrasta apertamente con la storia familiare. I genitori, infatti, hanno sempre dato il loro palese appoggio al partito laburista norvegese, suscitando la sua aperta disapprovazione. Una disapprovazione diventata sempre più esplicita con il suo avvicinamento all’English Defense League, un gruppo di estrema destra britannico, che era riuscito a farsi notare in particolare per la violenza delle proprie azioni, tanto da suscitare una risposta altrettanto forte da parte di gruppi di estrema sinistra e musulmani. Una ammirazione, quella per la EDL diventata sempre più forte, sino a suggerirgli il raid contro i giovani socialdemocratici riuniti a Utoya. Un’azione da lui spiegata come la giusta punizione per quella classe dirigente del paese che aveva aperto le porte della Norvegia agli immigrati. Se il movente della strage è assolutamente politico, da più parti si è cercato di spiegare quanto successo affrontando la storia di Breivik da un’altra angolazione. In particolare, molti osservatori hanno messo in risalto come la sua vita non sia mai stata normale da un punto di vista affettivo.

In questo senso un ruolo assolutamente cruciale viene dato ad un episodio del 2006, quando cercò di stringere una relazione con una ragazza bielorussa, tentativo poi naufragato. Un episodio che con ogni probabilità si è trasformato nella classica goccia capace di far traboccare il vaso, spingendolo alla strage del 22 luglio 2011. Paradossalmente, pur avendo ucciso 77 persone, Breivik ha però fallito quello che era il suo vero obiettivo, colpire al cuore il modello di una società multietnica che vedeva come fumo negli occhi. Dopo la tragedia di Utoya, infatti, i ricercatori hanno unanimemente rilevato un aumento di tolleranza tra i suoi compatrioti. Resta sicuramente il problema del rapporto con persone che hanno tradizioni e usi differenti, ma allo stesso tempo è aumentata la consapevolezza che la violenza e la segregazione rappresentano una risposta del tutto sbagliata.