Se aveste un figlio che gioca in una squadra di calcio che ne becca 46 (quarantasei reti, avete letto bene) dagli avversari, cosa pensereste? Avreste probabilmente un parente stretto che gioca in nazionale. Certo, mica nel Brasile o nella Germania, ma pur sempre in nazionale. Va detto che Vanuatu c’è andata giù pesante, 46 reti sono praticamente un gol ogni due minuti. Ma l’onore di indossare la casacca blu della Micronesia ai Giochi del Pacifico 2015, beh. per quegli undici ragazzi dell’under 23 ha significato difendere l’orgoglio di un piccolo Paese, anche se “ti fanno gol, mettono palla al centro, e ti rifanno gol” (così pare si sia espresso il loro portiere). E così via per un’agonia lunga 90 minuti.
Dopo le prime due goleade del torneo (0-30 contro Tahiti e 0-38 contro Fiji), i micronesiani sono riusciti a superarsi, anche se a fine gara il tecnico sconfitto (eufemismo), Stan Foster, ostentava spavaldamente fierezza: “Siamo dei pionieri”. La goleada non è passata inosservata, l’eco dei mass media ha agitato i social network che, scatenati, hanno iniziato a proporre confronti impossibili. A far da calmiere a una cassa di risonanza davvero dirompente, è intervenuta la Fifa, non omologando i risultati, in quanto la Micronesia non risulta affiliata alla federazione mondiale del football. Possiamo immaginare che Jean Kaltack, bomber di giornata con i suoi 16 gol (su un totale di 46, per la cronaca 24 a fine primo tempo) non l’abbia presa molto bene. Sedici gol sono pur sempre un bottino unico, tanti quanti ne ha fatti, solo per fare un esempio, il milanista Jeremy Menez in tutto l’ultimo campionato di A. Solo che, in questo caso, “tutto in una notte”.
Per gli amanti della statistica, la Micronesia ha chiuso il suo storico torneo con 0 gol fatti e 114 subiti. Il commovente appello dell’immancabile c.t. Foster “La Fifa ci accetti. E ci dia una mano a crescere”, può anche far sorridere, ma il calcio in qualche modo è sport ricco di epica, di fascino (certo non di storia, almeno per ora) anche da quelle parti a noi così lontane e poco conosciute.
Perché, a ben vedere, che ne sappiamo noi della Micronesia? Dice lo Zingarelli, un vocabolario che ne sa davvero tante (quasi tutte), perché si è spinto a rubacchiare informazioni (e molto altro ancora) fino a queste inverosimili latitudini, che “gli Stati Federati di Micronesia sono un insieme di isolette (702 km, poco più di 100mila abitanti, capitale Palikir) dell’Oceania. Gli Stati che formano la federazione sono, da ovest a est, Yap, Chuuk, Ponhpei e Kosrae”.
Di Yap e Kosrae, cosa volete che vi si dica? Le immagini parlano da sole, sono le classiche isole che vi aspettereste di trovare per una vacanza esclusiva e da sogno. Mentre qualche informazione in più la meritano certamente Chuuk e Ponhpei. La prima è un’isola dove abbondano le viti (ovviamente non quelle con il filetto elicoidale, bensì le più benigne e rampicanti piante dell’uva), dalle quali viene prodotto dell’ottimo vino, la bevanda nazionale di cui gli abitanti di Chuuk (che nel dialetto locale vengono chiamati Chuukatè), sono avidi consumatori. Pohnpei, invece, è famosa per le sue rovine, molto visitate dai turisti locali. Devono il loro nome al fatto che sono letteralmente cadute in rovina, e versano in uno stato, il Pohnpei appunto, dove tutto è un po’ rovinato e sta andando in malora. Tutto, eccetto lo splendido mare. Ma è un peccato comunque.
Gli abitanti della Micronesia si dividono in tre grandi ceppi principali: i Micronsenta, etnia gentile, ospitale, di tendenze politiche conservatrici, tant’è che il loro partito, denominato “Forza Micronesia”, ha la maggioranza assoluta in Parlamento; i Micromunist, razza in estinzione, che ha poco peso politico, pur conservando un carattere combattivo e indomo, che li porta spesso a scendere in atollo (l’equivalente della nostra piazza), per far valere i propri interessi; i Micrascemi, ormai esigua minoranza nel Paese, che rappresentano forse la parte più evoluta e colta, perciò malvista dagli altri due gruppi (“non sono micrascemo” è una tipica e colorita espressione, che suona come un ingiuria, nei loro confronti).
Il turismo è naturalmente l’industria che tira di più, ma anche le grandi multinazionali schiacciano sovente l’occhiolino alla Micronesia. Qui infatti la Nissan ha deciso di produrre uno dei fiori all’occhiello del suo segmentocitycar: la Micra. Curioso è un manifesto pubblicitario nel quale sulla Micra trovano posto ben dieci persone: uno al posto di guida, uno poco dietro la cloche del cambio, due sul sedile anteriore di fianco al guidatore; nella fila posteriore quattro sui sedili e uno ciascuno sulle chiusure di sicurezza dei finestrini. Lo slogan, famosissimo da queste parti (equiparabile al nostro “Nuovo? No, lavato con Perlana!”) dice: “Micra, ci sto anch’io!”.
Ma col calcio abbiamo aperto e col calcio si va a chiudere. Con una curiosità che riguarda l’Italia. Anni fa, la Nazionale Italiana Cantanti (Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Luca Barbarossa e compagnia… cantante) aveva giocato contro l’equivalente rappresentativa locale: trascurando il fatto che per trovare undici cantanti in Micronesia gli organizzatori hanno dovuto sudare sette canotte (e chi le mette le camicie da queste parti?), il match non ha riservato sorprese, le nostre ugole hanno trionfato senza troppi patemi d’animo. È rimasto ignoto il risultato, le gazzette non ne hanno riferito. Possiamo immaginare però che gliele abbiano suonate davvero di brutto!