Ci rivolgiamo a te, esimio lettore, il cui spaparanzamento agostano è solo uno sbiadito ricordo ormai lontano. Da oggi è settembre, le incombenze autunnali ti aspettano. Il lavoro, la famiglia, la suocera (la suocera? Sì, pure quella! Te leri scordata, eh?), tra non molto i figli da portare a scuola. E a proposito di scuola… qualcuno di casa ha fatto (o fatto fare) i compiti delle vacanze ai pargoli? Perché forse adesso è tardi per chiedersi se sia giusto che vengano assegnati, se la quantità sia sempre equa e quale dei familiari ne debba seguire lo svolgimento (o debba agire in prima persona). Quesiti esistenziali, a cui seguiranno, come ogni anno, risposte inopinatamente inevase. Una questione, quella dei compiti estivi, che varca certamente i confini nazionali: genitori dei cinque continenti sono alle prese ogni anno con le medesime incombenze, ciascuno secondo i propri usi e costumi.
Si sappia, a conforto di noi tutti, che i compiti delle vacanze più difficili vengono assegnati in Cina. Questo per due motivi: 1) i cinesi lavorano e studiano sempre, non vanno in vacanza che per poche ore, ma, in quellesiguo lasso di tempo, la quantità di compiti per le vacanze da svolgere è la stessa che negli altri Paesi del mondo, che godono però di periodi ben più lunghi di stacco; 2) fare i compiti in cinese, credeteci, è davvero complicato, per una questione di natura linguistico-grammatical-fonetica, che tenteremo di spiegarvi.
Che il cinese sia idioma vicino al geroglifico non lo scopriamo noi. Giunge a supporto lautorevole contributo, assai gradito, del nostro esimio Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate qua e là financo allaltro capo del mondo. Gli cediamo volentieri la parola.
”Il cinese è una lingua difficilissima, con laggravante di essere scritta in ideogrammi che devono essere letti in cinese (non cè verso di fare altrimenti!). Gli ideogrammi appaiono di aspetto gradevole a prima vista, sembrano supportare concetti leggeri, ma le idee cinesi (ideo) hanno un PSC (Peso Specifico di Complessità, unità di misura interlinguistica) che si esprime, solo per comodità del tutto occidentale, in grammi: va tenuto infatti presente che un ideogrammo equivale in Italia a un bel tomo, diciamo sui due chili, che corrispondono a non meno di 800 pagine.
Esistono diverse teorie che tendono a stabilire il grado di difficoltà di una lingua. La formula matematica che vi mostro è un concreto tentativo di classificare la lingua cinese in base alla difficoltà dellidioma:
O x (G+V+(W x 1)+(A x 2.0)+S+M(1.5))
Dove ”O” sta per apertura della società a comunicare nella sua lingua madre con uno straniero; ”G” è la grammatica; V è la difficoltà delle coniugazioni verbali; ”P” indica la pronuncia e la fonetica; ”W” rappresenta la complessità della scrittura; ”A” è il numero medio di sillabe per ogni parola (caratteristica importante per la loro memorizzazione); ”S” è la velocità del parlato e ”M” la sua musicalità.
In base a questa formula, le lingue si suddividono in ”Estremamente difficili” (come il polacco, per la sua pronuncia complicata; vi cito un esempio: dziewie´cdziesieciodziewiecionarodowo´sciowymarylong, che significa ”essere di 99 nazionalità”, termine poco diffuso perché neanche se la Polonia organizzasse le Olimpiadi avrebbe una così alta affluenza cosmopolita); ”Molto difficili”(è il caso dell’ungherese, che presenta infiniti suffissi, tra cui il rag, che è il suffisso sintattico segna-caso e va sempre a fine parola; da notare che in Italia ”rag.” da suffisso diventa prefisso che precede il cognome e nome, al pari di ”dott.” o ”prof”); ”Semplicemente ardue”, come l’ucraino (non pensiate che per parlare questo idioma vi basti mettere una ”U” davanti a ogni parola: l’ucraino non è come il sardo al contrario!); ”Difficili” come il giapponese (bisogna ricordarsi che tutte le ”R” diventano ”L”, attenti però che le ”L” non diventano ”R”).
La mia personalissima teoria – è sempre lo Zinga a parlare – è che sia invece il cinese l’idioma più difficile, perché è una lingua tonale: la variazione di tono di una stessa sillaba ne determina il significato. Per esempio, la sillaba ”ma”, se pronunciata con il primo tono, ma, può significare ”mamma”; se pronunciata con il secondo tono, má, può significare ”canapa”; se pronunciata con il terzo tono, ma, può significare ”cavallo”; se pronunciata con il quarto tono, mâ, può significare ”insultare”. Davvero complicato. Non a caso è passato alla storia il compito delle vacanze assegnato al piccolo (solo 9 anni) Mao Tse Tung nell’estate del 1902 – a lui come ad altri 14 milioni di poveri scolaretti elementari – dal ministero della Cultura e dell’Educazione, emanazione del governo comunista locale. Eccone il testo: Ma má ma ha mâ ma e pa in Ma; ma e pa unpoh pà, poi spà, han mâ ma má ma.
Il giovane Mao primeggiò, unico tra tutti i bambini a cogliere le precise sfumature della propria lingua. A quanti di voi amano andare per le spicce, essendo già alle prese oltretutto con i problemi dei propri figli, offro l’esatta traduzione, così come il piccolo Tse Tung la trascrisse sul proprio quaderno personale (il famoso ”Libretto Rosso”): ”Una mamma con un vestito di canapa su un cavallo ha insultato mia mamma e mio papà che viaggiavano su una Maserati (Ma con la emme maiuscola); mia mamma e mio papà prima hanno portato pazienza, poi spazientiti, hanno a loro volta insultato la mamma con un vestito di canapa su un cavallo”. Tutti gli altri scolari, invece, alla domanda dell’esercizio ”Come si traduce questa frase con tanti ma”, avevano laconicamente risposto con un assai perplesso, ma ampliamente giustificato: ‘Mah!’”.