Thomas è un rocciatore, impegnato in cantieri di montagna che lo tengono lontano dalla famiglia. In seguito a un incidente, però, lui e il suo gruppo perdono il lavoro, e Thomas si trova costretto ad accettare la proposta di un vecchio amico, ora impresario impegnato nella costruzione di un traforo. Thomas si trova così catapultato, volente o nolente, nella realtà quotidiana del piccolo paesino che, proprio a causa dei lavori, rischia ogni giorno di essere travolto da una frana; lì si troverà costretto a prendere una posizione, scegliere da che parte stare.

Storie sospese (proiettato alle Giornate degli autori di Venezia) parla di scalatori, ma anche di gente che abita in un paesino sperduto e in procinto di scomparire, se i lavori per costruire l’autostrada dovessero continuare. Gente, banalmente, “sospesa”. Ma il titolo, oltre all’ovvio e scontato collegamento, rimanda più profondamente a una caratteristica strutturale: il film, infatti, non ha una fine. Non nel senso canonico e conciliatorio del termine, almeno. 

Per capire le ragioni di una scelta tanto peculiare bisogna comprendere i motivi che hanno portato il regista, Stefano Chiantini, a mettersi dietro la macchina da presa. Storie Sospese è un film di denuncia sociale, e, in quanto tale, punta più a far leva sullo spettatore che non a soddisfarlo con un finale più o meno prevedibile. Anzi, è proprio la frustrazione di non sapere “come va a finire” – specie in un film che aspetta gli ultimi quaranta minuti per ingranare – l’espediente più ingegnoso utilizzato dal regista, il quale, per il resto della pellicola, non riesce a essere altrettanto incisivo. 

Se Marco Giallini è una garanzia, soprattutto in ruoli da uomo burbero e taciturno, è anche vero che il film non si preoccupa di esplorarne troppo a fondo il carattere. Tanto nel protagonista quanto nei comprimari, Chiantini si limita a far emergere quel tanto di interiorità che basta a stabilire empatia con lo spettatore, lasciando tutto il resto sullo sfondo. I problemi vengono sollevati e mai risolti; il conflitto tra i personaggi, solitamente utilizzato al cinema per mandare avanti la trama, ha qui scopo puramente documentario, espositivo: sta allo spettatore, ancor prima che al protagonista, ascoltare le ragioni dell’una e dell’altra parte, farsi giudice della questione e, infine, formulare il proprio verdetto. 

Tematiche sociali fanno spesso da sfondo, in modo più o meno superficiale, al cinema italiano degli ultimi anni; Storie Sospese ha però il pregio, tra tutti, di non abbandonare mai il proprio intento, rimanendo sobrio e coerente con se stesso fino alla fine. Questo non lo rende esente da difetti, né lo eleva dalla mediocrità di una sceneggiatura nella quale gli scambi di battute veramente incisivi si contano sulle dita di una mano. 

Si scalfisce appena la scorza di Thomas, uomo comune interessato solo al proprio orticello, e si intravede una voragine di egoismo, omertà e insicurezza: un regista con più polso avrebbe scavato in profondità, mentre Chiantini sceglie di non calcare la mano.