A furia di fare nomi, cercare di entrare nelle teste dei giurati e dare credito a chi dice di essere sicuro dei premiati, si sbaglia. La 72esima Mostra del Cinema di Venezia ha premiato a grandissima sorpresa Desde allà, dramma d’esordio del venezuelano Lorenzo Vigas che nessuno immaginava potesse essere in palmares (bravissimo il cerimoniale a custodire la sorpresa). Un film delicato e crudo al tempo stesso, di notevole maturità stilistica che però non ha convinto gran parte della stampa e nessuno dava tra i possibili premiati. Un atto di coraggio da parte della giuria presieduta da Alfonso Cuarón. 

Lo sconfitto è stato Behemoth, del cinese Zhao Liao, forse il film più bello del concorso e della Mostra, che in molti davano per vincitore e invece fuori dai giochi, come anche l’altrettanto bello Francofonia di Aleksandr Sokurov. Mentre a gioire per il Leone d’argento è l’argentino Pablo Trapero, autore di El clan, saga familiare e criminale molto amata: una doppietta latino-americana che il direttore Barbera aveva in qualche modo annunciato, con dichiarazioni entusiastiche sul cinema dell’America del Sud. Gran premio della giuria invece andato ad Anomalisa, esperimento animato di Charlie Kaufman, intimo e fragile, molto apprezzabile. 

Le coppe Volpi agli attori sono andate a Valeria Golino, protagonista del visionario Per amor vostro di Giuseppe Gaudino e unica premiata tra i quattro film italiani, e a Fabrice Luchini, scoppiettante interprete di L’hermine, film del francese Christian Vincent che si è aggiudicato anche il premio per la sceneggiatura. Un premio anche al cinema dalla Turchia, tra i pilastri della cinefilia festivaliera, con Frenzy del regista Emin Alper vincitore del premio speciale della giuria. Chiude il palmares il premio Mastroianni come attore emergente al piccolo Abraham Attah di Beasts of No Nation di Cary Fukunaga. 

Premi imprevisti in parte, che rappresentano bene la poliedricità della giuria (oltre a Cuarón, nomi come Hou, Ceylan, Carrère si scontrano con Elizabeth Banks e Diane Krueger) e che hanno lasciato da parte i titoli più eccentrici, sperimentali e inventivi giocoforza, quelli che cercano di reinventare il rapporto tra immagini e pubblico, come il già citato Behemoth o Heart of a Dog di Laurie Anderson. Buona la prova dei quattro film italiani, capeggiati dal maestro Marco Bellocchio (Sangue del mio sangue) in forma bizzarra, seguito da Piero Messina con L’attesa e Luca Guadagnino con A Bigger Splash (tra i film meno compresi dell’intera Mostra) e supportato dall’outsider Gaudino. Tanti, forse troppi, ma buoni, anche se il pensiero va a chi è rimasto fuori, dal concorso e dalla vita, Claudio Caligari, il cui film postumo Non essere cattivo ora nelle sale è una delle visioni più toccanti di questa Venezia 72.