Un film dal quale, io donna e talvolta anche ipersensibile, credevo di rimaner tuttaltro che affascinata, lo ammetto, è sicuramente Southpaw. Ma anche stavolta il pregiudizio mi ha fregata, e ovviamente Southpaw mi è piaciuto moltissimo. Non è certo un prodotto semplice, né tanto meno volatile o leggero. Infatti, e già il trailer lo testimonia benissimo, racconta di una vita spietata – al limite delle gioie e altresì delle sofferenze – e soprattutto racconta di boxe, ossia di botte, di sangue e di volti tumefatti. Quello che non ci si aspetta è però che oltre alla violenza ci si possa ritrovare molto, ma molto di più, come il dipinto creativo della vita di ognuno di noi.
Diretto da Antoine Fuqua, con Jake Gyllenhaal – da premiare per bravura e capacità sul set, una fra tutte quella di saper passare da un corpo a un altro non solo vestendo i panni del personaggio interpretato ma vivendone anche le caratteristiche più sottili – Forest Whitaker e la bellissima Rachel McAdams, veniamo catapultati nella Detroit dei giorni nostri, in un ambiente quale quello del pugilato tanto seguito dagli spettatori quanto dai media di tutto il mondo. Billy The Great Hope (Jake Gyllenhaal) è un campione imbattuto di boxe. Un cosiddetto southpaw, termine in slang per indicare lo stile di quegli atleti dallo stile agilissimo e al tempo stesso brutale. Tutto sembra andar per il meglio nella sua vita, felice, ricca e zeppa damore con una moglie che lo adora Maureen (Rachel McAdams) e una bimba che stravede per il suo papà.
Ma le cose non continueranno ad andar nel migliore dei modi per lungo tempo ancora. Lincontro col suo rivale Miguel Magic Canto, infatti, cambierà la sua vita per sempre. Questo, aggressivo e irrispettoso, lo provocherà nel bel mezzo di una gran ballo. Scoppierà una lite ferocissima, i giornalisti in sala non faranno altro che attender le botte, per aver qualcosa da fotografare e di cui parlare. E la notizia, la disfatta, arriverà in men che non si dica perché Maureen rimarrà uccisa e da quel momento lesistenza di Billy inizierà a sgretolarsi, un pezzetto dopo laltro.
Carriera finita, famiglia distrutta. I servizi sociali lo ritengono un padre inappropriato e nonostante la figlia si disperi gridando al mondo che vuole restar con il suo papà, dovrà tuttavia venir accudita dai servizi sociali e niente più.
Anche per questo, per questi scorci di vita vera, Southpaw è un film incredibilmente capace di colpirti, lasciandoti le botte, come quelle che Billy regalava ai suoi sfidanti. Perché racconta di una passione, quella per la boxe, capace di portarti via tutto, ma, al tempo stesso, in grado di ridarti tanto. Quasi strappalacrime, Southpaw ti scatena la reazione agile e brutale richiesta anche a un bravo pugile perché ti verrebbe da gridare, da alzarti in piedi sulla poltrona del tuo cinema preferito e dire che no, non è così che deve andare, che Billy non deve mollare, non deve cedere all’idea del suicidio, né tanto meno credere che per lui la felicità non esisterà più. È così che a Billy e alla sua bimba non si può restar indifferenti.
Una regia sopraffina quella di Antoine Fuqua, molto ritmata, impossibile annoiarsi. Un racconto drammatico che tuttavia finirà con un mezzo happy ending assolutamente emozionante. Ricominciare, diventerà la parola del giorno di Billy, per ogni suo futuro giorno. Si affiderà a un maestro, di boxe e di vita, come il vecchio pugile Tick (Forrest Withaker) imparando a riconquistarsi la risalita come uomo e padre per bene.
Southpaw non è per tutti, perché le botte (almeno a me) le ha lasciate davvero. Crudo, ti impressiona e ti fa riflettere tanto. Ma non si può dir altro se non che sia un film bellissimo, da non perdere assolutamente.