Se è vero che l’Italia ha il primato della disoccupazione giovanile, soprattutto femminile, è altrettanto vero che le ricerche scientifiche confermano invariabilmente quanto le donne siano più multitasking degli uomini, cioè come sia appannaggio del gentil sesso saper fare più cose contemporaneamente (maschietti, è meglio arrendersi, è così e basta). Ma, proseguendo nel nostro sottile ragionamento (un po’ di pazienza, stiamo arrivando al punto), diteci quante volte avete sentito dire dai nostri (e vostri) vecchi: “Oggi da noi nessuno vuol più fare certi mestieri”. Se è così (e credeteci: è così!), un ultimo sforzo: provate a fare uno (disoccupazione alta) più uno (prominente attitudine al multitasking) più uno (elevate probabilità di trovare occupazione in una mansione che nessuno vuole occupare) Se mixate questi ingredienti a dovere, il risultato finale sarà strabiliante: donne di tutto il mondo unitevi, e tornate a fare le massaie!

Come dice lo Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché, con destrezza multitasking, le ha rubacchiate qua e là in giro per il globo, «sono due le attività più antiche del mondo: la prima, esercitata fuori casa, sui marciapiedi, lungo le strade, talvolta fuori città, sovente in condizioni climatiche proibitive, così come è proibitivo (o quantomeno di poco buon gusto) il semplice nominarla; l’altra, decisamente più sicura, perché espletata all’interno delle proprie mura domestiche, fino alla fine degli anni ’60 risultava l’attività principale dell’italiana media: stiamo parlando, ovviamente del lavoro di massaia. L’etimologia della parola deriva dal basso latino mansa, da cui l’italiano, oggi in disuso, massa, che vuol dire “casa rurale“. Per cui la massaia, in senso letterale, altro non è che la padrona di casa di campagna: in un senso più ampio e attuale, la brava donna di casa, la casalinga tutt’altro che disperata. Ma chiamasi massaia anche per via della “massa” di roba da fare. 

La massaia, come si accennava, è una delle poche professioni veramente multitasking, perciò estremamente adatta al talento femminile: spolverare, lavare i panni, stirare, cucinare e accudire, operazioni spesso e perlopiù condotte “tutte in una volta” e con un tempo massimo d’esecuzione assai ridotto. Un’opportunità estremamente salutare tanto al fisico quanto alla psiche. Secondo recenti studi dell’Università del Massacchussetts (un think tank americano che studia psicologia e comportamenti delle massaie), è un’attività che sviluppa in maniera armonica gambe e braccia, seguendo una dieta naturale e distogliendo la mente femminile da pericolose tentazioni: infatti la massaia riesce addirittura a evitare la più comune e diffusa sindrome che colpisce le donne, quella da “shopping compulsivo”. Un esperimento, condotto su 100 massaie, stabilmente occupate con contratti a tempo indeterminato (fanno le casalinghe 24 ore su 24 e sette giorni su sette), ha dimostrato che l’espressione “carta di credito” non suscita alcuna reazione emotiva nell’88% dei casi e ben l’86% si dichiara ignara del significato del termine, e dunque pure del suo utilizzo. Al di qua del vetro, il corrispettivo 86% dei mariti è rimasto, davanti a queste evidenze scientifiche, piacevolmente strabiliato, e in molti casi concitatamente euforico, riflettendo sui benefici effetti del proprio budget famigliare. 

Venendo invece all’Italia, è giusto ricordare che la più alta percentuale di massaie si riscontra nel capoluogo di Massa (dove, appunto, vivono in massa e hanno tutte sposato dei Carrara), nei pressi del lago di Massaciuccoli e nei Comuni di Massello (si trova in provincia di Torino, dove si concentrano le massaie più cocciute e caparbie, dure come l’omonimo legno) e di Massafra, in Puglia. Anzi, a sottolineare una peculiarità della regione, giova ricordare che da quelle parti un gran numero di massaie ha ampliato il proprio raggio d’azione e di competenza: sicché, accanto all’attività domestica, hanno intrapreso la gestione di numerosi agriturismi, che non a caso hanno preso il nome di masserie».

Un doveroso “Grazie!” allo Zinga, che è sempre perfetto, per quantità di informazioni, consueta dovizia di notizie e particolare descrizione dei dettagli. Elencando con estrema sintesi tutti i vantaggi che derivano alle donne, le ha invitate in un certo qual modo ad addentrarsi senza particolari patemi d’animo in questa affascinante attività. E se in qualcuna si ammassassero ancora dei dubbi, niente paura, la tradizione popolare ci viene in soccorso con una deliziosa storiella-filastrocca, “La bella lavanderina”, che in poche e commoventi strofe racconta gioie (tante), dolori (quasi irrilevanti) e riscatto sociale delle massaie. 

“La bella lavanderina / che lava i fazzoletti / per i poveretti della città / fai un salto, fanne un altro / fai la giravolta, falla un’altra volta / Guarda in su, guarda in giù / dai un bacio a chi vuoi tu”

Quante domande ha sempre suscitato questa amena filastrocca! Che sia stata una volontaria della Caritas ante litteram o una semplice zitella non è dato di saperlo. Poteva trattarsi di una ex acrobata del circo, in cerca di marito. Già… ma allora: per quali poveretti teneva puliti i fazzoletti? E dove? Perché un conto è farlo a Milano, un altro a Lurago Marinone, la cui cosa più grossa – sia detto con rispetto e soprattutto senza doppi sensi – è il nome. E poi ancora: quanti soldi spendeva in detersivo? Aveva uno sponsor occulto?

Niente di tutto questo. Grazie ad accurate ricerche si è arrivati alla conclusione certa che la bella lavanderina è nata a Nasolino, una piccola frazione che fa parte del comune di Oltressenda Alta, in provincia di Bergamo. Nella sua numerosa famiglia, numerosi parenti – a Nasolino e dintorni – soffrivano di raffreddore da fieno, rinopatie allergiche e asma, il che conduceva giocoforza a un consumo esagerato di fazzoletti. La nostra bella lavanderina, con una gerla di fazzoletti sporchi sulle spalle, era costretta quotidianamente a scendere a piedi fino al fiume Ogliolo per lavarli tutti. Non era affatto raro che, lungo il percorso verso il ruscello, un cospicuo numero di sfortunati compaesani, affetti dalle stesse sintomatologie, ne gettassero altri nella gerla. Così che, arrivata all’Ogliolo, lamassa di fazzoletti da lavare si era fatta vieppiù imponente. 

La bella ebbe un’infanzia davvero dura, finché, a un certo punto, la sua vita repentinamente cambiò. Accadde quando vennero immessi sul mercato i fazzoletti di carta Tempo. Una novità che per la nostra giovane massaia significò un cambio di vita a 360° in lavatrice! Basta Ogliolo, stop al sapone, addio agli estenuanti strofinii dei fazzoletti! La bella lavanderina – fatto un salto di gioia, fatto un altro salto di gioia per verificare che fosse tutto vero, fatta una giravolta e fattane un’altra – si guardò intorno, diede un’occhiata in su, poi in giù e decise di dare un bacio al primo passante che l’avesse avvicinata. 

La sorte cadde sul Leonardo Rota, di Clusone, professione fontaniere, da tutti chiamato per la sua abilità e forza “l’Idraulico Liquido della Val Seriana”, con cui ebbe una lunga relazione. Uomo, va detto, di estrema semplicità, forse troppa per la nostra bella lavanderina, che cominciò ad averne abbastanza dei suoi modi da villano (lo accusava spesso di essere di basso lavello e di non capire mai un tubo). Decise, allora, in cuor suo, di puntare più in alto. Capitata per caso con un’amica single al campionato di body building della Val Brembana, si innamorò a prima vista di Maciste Locatelli, il “Mister Muscolo di San Pellegrino Terme”: si sposarono di lì a poco. E adesso i fazzoletti, con le bottigliette di acqua minerale frizzante della San Pellegrino, in famiglia li lava lui…