Un film dal quale non ci si può sottrarre. Così descriverei di primo impatto il primo lungometraggio di Ariel Kleiman. Intitolato Partisan, è infatti ispirato a una storia vera, letta dallo stesso regista su di un articolo di giornale. Racconta dei bambini soldato in Colombia, e in particolar modo di quelli che vivono in un isolato villaggio del posto, quasi una comunità segreta, della quale nessuno deve sapere e dalla quale nessuno deve uscire perché solo così potranno dirsi al riparo dai pericoli del mondo esterno.
Kleiman, i cui cortometraggi sono famosi nel mondo per aver vinto i più ambiti premi della Critica e dei Festival del Cinema internazionali, porta stavolta su grande schermo un esperimento ben fatto e assolutamente riuscito. Un racconto vero, innocente, a tratti tanto vivido da farci dimenticare la distanza che tra spettacolo e spettatore stia intercorrendo. Quasi un thriller, sicuramente drammatico, Partisan è tanto vicino al pubblico forse grazie al personaggio primo col quale si viene in contatto, Alexander (Jeremy Chabriel), 11 anni e tanta curiosità. lui che si apre più di chiunque altro, facendoci addentrare in sua compagnia in una vita che non gli basta. Abita con la mamma Susanna (Florence Mezzara) e un gruppo di altre donne e bambini, tutti a stretto contatto con Gregori (Vincent Cassel), patriarca del posto, carismatico, buono ma rigoroso e duro quando serve.
Sarà proprio Gregori a trasmettere le basi per una vita felice, ai “figli surrogati” che negli anni crescerà. Insegnando loro l’arte della libertà – seppur in un circolo strettamente chiuso al resto mondo – li convincerà che solo con la conoscenza della professione del combattimento ci si possa guadagnare un futuro certo. Perché solo con la guerra questi riusciranno a sconfiggere i nemici, e a vivere più a lungo che si può.
Ma, come in ogni vita che si rispetti, anche in quella di questi piccolini – tanto giovani quanto obbligati a una maturità esageratamente esposta – arriva l’imprevisto. E allora un amico di Alexander, suo coetaneo, non rispetterà i patti. Deciderà di far di testa sua, e di conseguenza verrà allontanato, rimproverato sanguinosamente. E Alexander inizia a far domande, a capire che forse – nonostante tutto – anche per lui 11 anni in quella prigione non possono dirsi soddisfacenti. Ogni gita fuori porta, ogni combattimento esterno alla comunità, significheranno per lui un passo in avanti verso il mondo. Collezionerà souvenir, di guerra si intende. Ricordi di poco valore, oggetti perduti ritrovati qua e là, che come un file rouge nell’arco di pochi secondi lo porteranno a ricordare all’evenienza di quel volo verso l’infinito corrispondente a poco più che una lotta feroce fatta di dolore.
Una serie di emozioni e attese incredibili, ricche di suspense più o meno noir, fanno di Partisan un film assolutamente imperdibile. Con l’incredibile capacità di venir sempre sorpresi, perché nonostante talvolta la sinossi possa ingannarci a credere nel rito della banalità, non c’è nulla di aspettato in un prodotto cinematografico come questo.
Si parla di bambini ma, attenzione, non è un film per bambini. Crudo, vero, spietato, non lascia indifferenti e nemmeno attoniti. Semplicemente lascia, in sospensione, mille pensieri. Kleiman bravissimo nell’aver saputo ritrarre come solo un pittore del cinema sa fare la quotidianità dei suoi protagonisti senza stravolgerla, lasciandola intatta ma trasformandola, inquadratura dopo inquadratura, in un racconto di quelli che quando ci entri a contatto non te ne dimentichi più. Solo complimenti.