A volte, venendo a conoscenza di certi esperimenti, verrebbe la tentazione di dare ragione a uno dei più famosi scrittori di fantascienza, Isaac Asimov: “L’espressione più eccitante da ascoltare nella scienza, quella che annuncia le più grandi scoperte, non è ‘Eureka’ ma ‘Che strano…’”. In effetti, stranezze non ne mancano. Qualche esempio? In Svezia, a uno stuntman è stato chiesto di attraversare un incendio, previa immersione in acqua, così da poter testare la possibilità di uscirne indenni (ma che vuol dire indenni: senza una scottatura?). All’Università di Birmingham, invece, si è studiato a fondo il movimento dell’acqua nella lavastoviglie per rispondere a fondamentali interrogativi scientifici: le forchette vanno messe all’insù? E i coltelli… forse all’ingiù? I piatti sporchi e particolarmente incrostati vanno prima sciacquati nel lavandino?



A proposito di elettrodomestici, non vorremmo che di questo passo gli scienziati arrivassero a imboccare una via mai percorsa in passato, quella di una, per noi discutibile, sperimentazione dove l’uomo diventa protagonista (o vittima?) incontrastato dei test, tenuto conto che computer e tecnologie varie non hanno mai fornito risultati particolarmente soddisfacenti. E allora, già che ci siamo, perché non avviare esperimenti basati sull’osservazione prolungata del movimento dell’acqua e dei panni attraverso l’oblò di una lavatrice? Potrebbe rivelarsi un’idea win-win quella di utilizzare nelle ricerche gruppi di malati di cervicalgìa: il movimento continuo e rotatorio del collo dei suddetti non solo consentirebbe di osservare dettagliatamente i flussi d’acqua della lavatrice, ma potrebbe contribuire a un graduale e armonico miglioramento del comparto vertebrale dei soggetti interessati. 



Al contrario, potrebbero presentarsi notevoli difficoltà nel testare con soggetti umani i frullatori a immersione. I primi, ufficiosi esperimenti sin qui condotti hanno inevitabilmente portato allo spappolamento degli arti dei testatori, con poca soddisfazione tanto dell’azienda produttrice che dello sperimentatore stesso (il quale, sia detto per inciso, ha poi fatto “carriera” testando sugli autobus affollati la sua mano morta). E a ben guardare, va ricordato che la pietanza preparata dal frullatore era venuta davvero ben… con dita!

Sappiate comunque che il lavoro del testatore è assai ricercato e sempre più specialistico. Prendete, per esempio, gli individui scelti (per precise caratteristiche fisiche) a testare il corretto funzionamento di un ferro da stiro: passare le giornate sdraiato come un lenzuolo a farsi “massaggiare” con la piastra rovente da una solerte e giunonica massaia teutonica non dev’essere certo facile: l’uomo-test, ovviamente, non deve avere una piega fuori posto…



Ma, in tema di stranezze, certe notizie prendono una piega davvero difficile da comprendere. Sentite questa: “Il commercio privato di materiale proveniente dagli asteroidi è diventato legale negli Stati Uniti con la firma da parte del presidente Barack Obama dello U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act (H.R. 2262). D’ora in poi, cittadini e società private di nazionalità americana avranno la possibilità di esercitare il diritto di proprietà su tutto ciò che riusciranno a riportare sulla Terra dallo spazio, a patto però che atterrino negli Usa”. E c’è già chi ha detto che si tratta del più importante riconoscimento dei diritti di proprietà nella storia umana. 

Bene, con questa legge si è ufficialmente aperta la caccia agli asteroidi, che, rammentiamolo bene, quando “sfiorano” la Terra (con la T maiuscola) viaggiano ad “appena” 2,4 milioni di chilometri dalla nostra atmosfera. Ma come fare per catturare un asteroide? Con una cerbottana gigantesca (un cerbottanone, diremmo noi)? Oppure con un mastodontico retino, modello Vispa Teresa (o meglio, Vispona Teresona)? E quale tipo di osservazione può aiutare a catturare l’asteroide giusto, tipo il “2011 UW-158”, dotato di un massiccio cuore di platino (il platino, detto “l’oro dei ricchi”, vale circa 26mila euro al chilo) dal valore di 3,5 trilioni di dollari? E una volta completata la “cattura”, che fare? Lo si porta su un furgoncino Ape (anzi, un Apone), fino al più vicino Compro Oro per una valutazione almeno sommaria? E se si trattasse di un asteroide anabolizzante, sarebbe necessario un esame antidoping? Domande senza risposta.

La realtà dei fatti ci costringe però a stare con i piedi per terra (stavolta con la t minuscola)! E dunque, parlando di piedi, di suolo e di suola, non possiamo non citare l’invenzione dell’anno: entro il tardo autunno saranno poste in commercio le prime, costosissime scarpe che si allacciano da sole. Come funzionano? Semplice: il meccanismo di chiusura si attiva elettronicamente, grazie a microchip installati nelle suole delle scarpe, dotati di sensore di temperatura in grado di riconoscere l’introduzione nella scarpa di un piede umano (e se fosse un piede di porco a cercare di voler entrare nella calzatura, scatterebbe un allarme acustico?). 

Ingegnoso anche il sistema di ricarica: uno speciale zerbino, simile a una piastra a induzione, permetterà la ricarica del congegno in soli 20 minuti, a condizione che i piedi (e il loro legittimo proprietario) rimangano – fermi e immobili – nelle scarpe. Una sosta che può trasformarsi in un salutare momento zen (o di qualsivoglia altro tipo di meditazione) per ritrovare se stessi, dalla testa… ai piedi!

Di solito quando ci si alza al mattino si fatica a ricordarsi dove abbiamo messo le scarpe. Invece le calzature che si allacciano da sole al mattino si domandano: “Dove saranno mai i piedi del mio padrone?”. Ma non preoccupatevi: il bordo della scarpa è dotato di un sensore con Gps, chiamato Segugio, in grado di riconoscere in pochi secondi il piede del legittimo proprietario semplicemente dall’odore (del piede, non del proprietario). Potrebbe essere un problema per la scarpa la multiproprietà.

L’apertura delle scarpe che si allacciano da sole avverrà attraverso un codice PIN a sei cifre, che andrà sillabato lentamente. Perciò, un doveroso consiglio: sarà buona abitudine non aprire le scarpe in ambienti troppo affollati. Primo, perché i vostri piedi puzzeranno esattamente come nelle scarpe più convenzionali; secondo, perché potreste sempre incontrare qualche buontempone in vena di scherzi che, venuto a conoscenza del vostro PIN, potrebbe tirarvi qualche brutto scherzo in pubblico. Occhi e orecchie ai vostri piedi, dunque!