Dopo una campagna pubblicitaria che definire pervasiva sarebbe riduttivo, e a tre anni di distanza dal suo ultimo successo commerciale Sole a catinelle, Checco Zalone torna sul grande schermo con Quo Vado?, con la regia di Gennaro Nunziante. Cresciuto con il mito incrollabile del “posto fisso”, Checco si ritrova a trenta e passa anni con un lavoro stabile, una routine consolidata e un morboso attaccamento alla madre. Arroccato in un microcosmo di piccoli privilegi e rosee aspettative, l’improvviso taglio al personale pubblico è per lui uno shock; abituato com’è alla vita sedentaria, si ritrova da un giorno all’altro a essere spedito ai quattro angoli del mondo (letteralmente), pur di mantenere il posto fisso.
Per Checco inizia così una tournée che lo porta fino alla Norvegia, dove, dopo un iniziale sbigottimento, incontra e si lega a una giovane ricercatrice ambientale, Valeria (Eleonora Giovanardi). L’incontro lo costringerà a rivedere tutte le sue convinzioni da “italiano medio”, ripercorrendo con il suo solito umorismo tutti gli stereotipi del caso.
Il film parte in medias res, in una cornice africano-tribale che mette in luce sin da subito la particolarità più evidente della pellicola rispetto alle precedenti. Abbandonate le atmosfere familiari dell’amata Puglia, Zalone e Nunziante danno infatti una svolta cosmopolita al proprio cinema, e portano su schermo location che spaziano dai fiordi di Bergen al cuore dell’Africa. È uno sforzo produttivo ben giustificato dagli incassi al botteghino del film precedente, ma, lungi dall’essere un mero sfoggio di opulenza, è funzionale a “sprovincializzare” una pellicola che vorrebbe svincolarsi dal microcosmo campanilistico per dare un respiro più ampio alla riflessione.
L’obiettivo può dirsi raggiunto, anche se a un esborso così ingente non corrisponde un proporzionale miglioramento sul lato tecnico, che rimane ai livelli mediocremente accettabili delle pellicole precedenti. Si tratta di una contraddizione solo apparente, perché, se a grossi budget siamo soliti associare pellicole destinate a una distribuzione mondiale (i classici blockbusters, per intenderci), Zalone e Nunziante se ne servono per dare alla luce un film che può essere definito “nazionalpopolare”, se non altro nelle intenzioni. I continui e gustosi riferimenti alla cultura popolare italiana, infatti, da Sanremo a un cameo di Lino Banfi, fanno di Quo Vado? una pellicola intrinsecamente italiana, incomprensibile a un pubblico internazionale.
Ciò che ha sempre funzionato in passato, ovvero la vena irriverente del comico barese, continua a funzionare anche qui, e, anzi, permea ogni minuto del film, dal livello più immediatamente percepibile (e – va detto – spesso prevedibile) della battuta al modo in cui si sviluppano gli eventi, fino ad arrivare a vere e proprie citazioni per cinefili incalliti e gag prettamente visive. Insomma, Zalone dimostra di saper padroneggiare i tempi e i mezzi comici, e il lavoro di Nunziante riesce a valorizzarne la capacità innata.
Se si scava sotto la scorza di una pellicola evidentemente pensata per piacere a tutti si scorge una critica amarissima a un modo di pensare tipicamente italiano; grazie al confronto con una realtà distante come quella norvegese, Zalone mostra tutti i limiti di un’Italia di cui lui per primo si fa espressione, senza però mai scadere nel qualunquismo o, ancora peggio, in uno snobismo esterofilo. Pur con tutti i suoi difetti e l’immancabile buonismo finale, il film di Zalone riesce a fotografare la realtà del Bel Paese più di chiunque altro, in un momento storico in cui il cinema italiano ha ormai perso aderenza con il suo pubblico.