Bello ed entusiasmante, strabordante di energia positiva. “È tutta la vita che combatto. È il mio destino”. Il vigore, la forza, la resistenza di chi vuole solo inseguire la possibilità di essere se stesso e affermare il proprio Destino. Sono queste le emozioni che Creed – Nato per combattere ci ha trasmesso e che ci permettono di seguire la storia di Adonis con la stessa passione con cui ci eravamo innamorati delle vite di suo padre Apollo Creed e di Rocky Balboa. Sì, perché il protagonista di questo film è proprio il figlio illegittimo di Apollo.
Adonis, venuto alla luce dopo la morte sul ring del padre e persa la madre in giovane età, cresce tra case famiglia e riformatori fino a quando Mary Anne, la moglie di Apollo, lo trova e lo prende con sé. Sa che combattere sul ring è la sua vita. Così, lasciato il lavoro di prestigio che ha a Los Angeles, va a Filadelfia alla ricerca di Rocky per essere allenato da lui e diventare un pugile professionista. Per avere un vero ring su cui salire. Quelli clandestini del Messico, su cui ha riportato 15 vittorie su 15 incontri, non gli bastano più.
Innanzitutto un inchino a Rocky, che ovviamente è il coprotagonista insieme ad Adonis. Inchino dovuto non solo alla statura del suo personaggio, che ha fatto la storia del cinema, ma anche a questa versione nuova e sorprendente del “vecchio Balboa”. Perché di anni ne sono passati e i segni del tempo si mostrano inesorabili sul suo volto. Ma la sua passione e la sua determinazione sono sempre le stesse. Solo che ora sono “addolcite” dallo sguardo adulto dell’esperienza e da un velo di ironia che alleggerisce – e rende ancora più amabile – il suo personaggio. Inaspettatamente, infatti, non c’è malinconia nel modo in cui Stallone – che ha appena vinto il Golden Globe per questo ruolo – interpreta Rocky, ma solo un grande affetto per questo gigante del pugilato.
Al di là del sentimentalismo per Rocky e per i film a lui dedicati – sentimentalismo che, diciamolo, nutriva al contempo aspettative e pregiudizi – il pregio di questa storia sta non solo nel merito di aver riportato sullo schermo il mitico Balboa, ma anche nel valore in cui si declina il rapporto padre-figlio. Creed è un cognome importante da portare. Adonis lo rispetta, senza timore. Senza cadere nella conflittualità relazionale che potrebbe generarsi nel figlio di un padre così grande. C’è purezza in Adonis. Sa che il nome Creed può essere un’arma a doppio taglio. Un’ottima lettera di presentazione ma anche un’eredità prestigiosa e difficile con cui confrontarsi e da eguagliare. Adonis non vuole sfruttare il suo passato perché sa che le proprie origini genetiche, il suo Destino, valgono molto di più delle sillabe contenute in una parola.
Lui, come il padre, ha il fuoco dentro. L’ardore, la determinazione, la convinzione di voler battere l’avversario a tutti i costi – anche quando si sta mettendo male – sono le medesime. La certezza di essere il più forte, senza arroganza, semplicemente perché è un fatto naturale, spingono Adonis a lasciare tutto per la boxe.
Inseguire il proprio sogno innato è l’altro fondamentale tema di questo spin-off cinematografico. Farlo a ogni costo e senza abbattersi ma assumendosene la responsabilità. Un bellissimo messaggio da dare a uno spettatore in tempo di guerra e di crisi. Uno spettatore mediamente arrabbiato per il terrorismo che rende il mondo un posto su cui non investire e sufficientemente provato dai sacrifici di una crisi che sembra non passare mai.
La scena finale del film parla da sé. L’eredità di Apollo e di Rocky ad Adonis. Il mondo del pugilato è già nelle sue mani.