Il mondo del tennis sta sbiancando di paura, in una sorta di film horror a carattere sportivo. La colpa sarebbe del cosiddetto “racket delle racchette”: un’inchiesta che ha stabilito come negli ultimi dieci anni ben 16 giocatori, fra i primi 50 del mondo in una lista di più di 70 tennisti (che comprende persino vincitori di Slam), avrebbero combinato dei match ad alto livello. La notizia, un vero scoop che ha fatto il giro del mondo in pochissime ore, rappresenta il più grosso scandalo della storia del tennis dopo quello del 1416. Beh, non diteci che non conoscete “lo scandalo del ’16”, nome con cui è tristemente passato alla storia. Cosa accadde dunque seicento anni fa?



Un breve accenno storico è d’uopo: a quel tempo il tennis (nome ancora di là da venire) era praticato soprattutto in Francia, con il nome di jeu de paume (cioè “gioco di palmo”, per il fatto che veniva praticato con il solo ausilio del palmo aperto della mano). Nel 1416, appunto, durante lo svolgimento di un torneo in Borgogna, fece la sua apparizione un poco più che ventenne Bartolomeo Colleoni. Il suo avversario era l’inglese Carl Wild, un semplice “passante”, cioè passò lì per caso e gli fu proposto di partecipare al torneo, passato alla storia con il cognome anteposto al nome, perciò Wild Carl: e proprio in suo onore si chiama Wild Card il permesso di competere in una gara accordato a un giocatore che non si è qualificato, all’infuori delle normali regole di partecipazione. 



Vinto al sorteggio il servizio iniziale, Wild dichiarò sportivamente, in perfetto stile britannico, “Prima palla”, centrando poi in pieno (volontariamente? le cronache del tempo non specificano) il bassoventre del nostro connazionale, che imperturbabile non fece nemmeno un plisset. “Seconda palla”, esclamò a gran voce Wild: idem come prima, gran colpo sugli zebedei, ma ancora una volta nessuna smorfia del rude condottiero bergamasco. Il quale, con impavido atteggiamento e con lo sguardo da duro fisso sul suo avversario, intimò con voce stentorea (quando tutti si aspettavano oramai una vocina bianca): “Io non mi muovo da qui e tu non ti muovi da lì. Batti ancora… un’altra palla!”. 



I raccattapalle, increduli, fuggirono dal campo come presi da terrore, mentre dal pubblico femminile si levò un “Ohhhhh!”, naturalmente di ammirazione (qualche marito ammiccò a denti stretti…), manco fosse quello della pubblicità Opel. Poi toccò al Colleoni: un potentissimo servizio, accompagnato da un gutturale e sonoro “Tiè!”. E Wild stramazzò a terra. Conclusione? La vittoria al tie-break (termine anglo-bergamasco, dove tie sta per palla e break per rottura: rottura di palle, e – solo in quella occasione – non certo per via della lunghezza del match) del nostro eroe esaltò le cronache gossippare del tempo, tanto che si ricordano numerosi titoli sparati a caratteri cubitali su Evamillecinquecento, antesignano di Evatremila. Fu proprio da quest’episodio che Bartolomeo costruì la leggenda dei suoi virili attributi. Il jeu de paume e i francesi, invece, non si ripresero più da quell’ostentata prova di forza, sicchè di tennis si tornerà a parlare solo quattro secoli dopo.

Già, ma perché si chiama tennis? Il vocabolo deriva dal francese “Tenez“, imperativo del verbo “tenir“, che significa “Tenete!” oppure “A voi!”, esclamazione che ai tempi accompagnava il lancio della palla all’avversario. Che rispondeva alla stessa stregua con un altro, immancabile “Tenez!“. Fu proprio durante un estenuante e interminabile susseguirsi di “Tenez!” che il poeta Vittorio Alfieri decise di interrompere quell’agonia agonistica, prorompendo nel suo più famoso verso: “Volèe, sempre volèe, fortissimamente volèe!”.

Sta di fatto che l’utilizzo reiterato di questi “A voi!” ha spinto i primi appassionati di questo sport a chiamarlo Voinnis, a cagione proprio dell’abuso del pronome di seconda persona plurale. Il primo salto evolutivo nelle regole del tennis avvenne nel momento in cui si passò al lei (l’era pre-moderna del leinnis), fino ad arrivare al tennis odierno, dove è consuetudine darsi del tu (e allora si sarebbe dovuto chiamare tunnis). Una cosa è certa: se ci si allena da soli, contro il muro, si sta giocando a ionnis

Il tennis così come lo conosciamo oggi è stato probabilmente inventato da un giocatore di ping-pong con notevoli capacità di vedere le cose in grande: la pallina, le racchette, il campo. Può essere giocato sulla terra battuta (cosiddetta perché viene malamente calpestata dal tennista), sull’erba (come a Wimbledon, e non come in Giamaica dove giocano… con l’erba), sul cemento (eccezion fatta per le nazionali militari, che giocano solamente sul cemento… armato!). Capita sovente che i campi da gioco sorgano nelle immediate vicinanze di luoghi di culto: da qui l’abitudine a sentir pronunciare dal giudice di sedia la classica espressione: “Silenzio, prego!” (profferita per non disturbare la funzione religiosa, mica per zittire il pubblico che distrae i tennisti!). E il torneo più prestigioso del mondo è la Coppa d’Avis, così denominata perché per la vittoria occorre sputare sangue fino all’ultimo game.

Che il tennis debba essere considerato uno sport d’élite lo testimonia il calcolo dei punti. Nel calcio, per esempio, ogni gol vale uno; nel basket, gioco tendenzialmente più selettivo, perciò un po’ più aristocratico, i tiri valgono due o tre punti, a seconda della distanza da cui si tira a canestro. Ma il tennis? Incredibile: al primo colpo andato a segno si è già sul 15-0! Roba da fiaccare la tempra di qualsiasi avversario…

Per fortuna, a compensare questi shock da cappotto (in senso sportivo) tra un set e l’altro (chiamasi set “la frazion di gioc che vien prim dell’ot e dop il ses”) i tennisti hanno l’opportunità di dissetarsi. A tal proposito, di rilevante importanza risulta il termine “ace” : se pronunciato “ace”, all’italiana, va inteso nel significato di candeggina, potente smacchiatore di immacolate divise, un tempo indossate indistintamente da tutti i tennisti, maschi e femmine; ma l’Ace (eis) è anche la tipica bevanda non gasata a cui i tennisti mai rinuncerebbero negli intervalli di gioco. Subentrano pure riti scaramantici: bere l’Ace (l’eis, non la candeggina) significa evitare di perdere energia e smalto, vuol dire evitare l’ultimo colpo del giocatore fiaccato di qualsiasi energia, la cosiddetta “smorzata” (che ha generato l’espressione, riferita a un giocatore ormai bollito, “gli si è smorzata la luce!”). È categoricamente proibito, invece, dissetarsi di Ace (l’eis) durante il proprio servizio di battuta (esempio: “Ehi Djokovic, perché non ti fai una mezza bottiglia di Ace?”, “No, grazie. Mai in servizio”).

Sport altamente competitivo e spettacolare, e non solo al maschile, il tennis presenta anche un “lato B” di tutto rispetto, sia dal punto di vista più squisitamente tecnico, che da quello estetico; si contano infatti molte racchette e nessuna… racchietta. Atlete dal fisico asciutto (in gergo si dice che “hanno un bel lungolinea“) e che si attengono a una dieta ferrea (a pranzo e a cena basta loro una schiacciatina, una sorta di pane croccante secco, di forma simile a un campo da tennis in miniatura).

Un’ultima curiosità: il merito di aver dato il nome a un colpo spettacolare del tennis – la volèe alta di rovescio – spetta a una giocatrice di origini scaligere. Si chiamava Veronica, tennista di facili costumi e dal carattere alquantocollerico (tirava certi rovesci…). Mentre sua sorella Adelaide (di cui ben pochi si ricordano) era sicuramente più seria, abituata com’era a tirare… diritto. In campo e fuori.