Spunto e personaggi di Pets – Vita da animali non brillano per originalità: cosa fanno gli animali domestici quando i padroni non ci sono? Se qualcuno pensa a Toy Story, di certo non sbaglia. Per fortuna, il film di Chris Renaud (regista dei due Cattivissimo me) prende immediatamente un’altra strada e si “accontenta” di una dimensione spettacolare infantile, adatta ai bambini e capace di non annoiare i grandi.



I protagonisti sono due cani, Max – leader di una comitiva di cani, gatti, criceti e così via – e Duke, trovatello che s’insidia nella casa di Max e rischia di rovinargli la vita: l’abusata dinamica nemici-amici, però, e il colorito seguito di personaggi secondari lascia per fortuna il posto all’avventura rocambolesca pura e semplice.



La sceneggiatura di Cinco Paul, Ken Daurio, Brian Lynch e Simon Rich fa perdere i nostri eroi e li conduce nei bassifondi della città di New York, popolata anch’essa di animali domestici, ma molto più sporchi, brutti e cattivi, come il coniglio pazzo Snowball. Dalla Pixar alla Aardman quindi, da Toy Story a Giù per il tubo (film animato tra i più sottovalutati della scorsa decade): si cita e ricicla, come da tradizione del cinema mainstream contemporaneo.

Ma c’è qualcosa in Pets che lo rende un film godibile, in cui la derivazione non è un peso ingombrante. Ed è qualcosa ascrivibile al tocco Illumination, casa di animazione inseritasi di peso nel dualismo (puramente numerico) tra Pixar/Disney e Dreamworks: vale a dire la rilettura della slapstick comedy, il puro ritmo della comicità fisica che, mai come in un cartoon, diventa astrazione.



Esattamente come i Minions (che aprono la proiezione con uno spassoso cortometraggio), Pets è figlio dei cortometraggi targati Warner Bros, degli scatenati Looney Tunes e delle gemme irruente di Hanna & Barbera (versione Tom & Jerry), con la consapevolezza di chi sta realizzando un possibile successo globale. Nei film prodotti da Meledandri, che aveva perfezionato la formula già con i primi film di L’era glaciale, gli elementi che caratterizzano i film dei rivali (la maniacale cura del racconto, la creazione di personaggi memorabili e commercialmente rilevanti, la costruzione di un’emozione universale, ma anche la statura pop contemporanea e spesso metalinguistica del cinema Dreamworks) diminuiscono per concentrarsi sul gesto comico, sulla possibilità di inventare forme di umorismo fulminante attraverso gli elementi più tipici del cartoon.

Il film rinuncia così a una solida costruzione drammaturgica e gioca ad architettare situazioni perfette per far nascere il gag visivo, il capitombolo, la frenesia rocambolesca in cui deformare, addirittura se il caso inventare di sana pianta, le regole del tempo e dello spazio.

Pets manca il genio iconoclasta dei propri modelli. E i personaggi, in tutta la loro “carineria”, limitano le possibilità inventive dei registi. Resta però un film che lavora con intelligenza su una visione personale del cinema d’animazione da box office, attuandola attraverso elementi filmici come il ritmo, il montaggio, il movimento. Non è così scontato.