Il penultimo appuntamento con la nostra rubrica si occupa di un filone molto battuto negli anni ’80, ovvero il cinema per ragazzi. I banditi del tempo di Terry Gilliam apre il decennio con un’avventura dalle tinte oniriche e dai risvolti allegorici, in perfetta coerenza con l’estro visivo del regista. 



 

Se li si considera sotto una certa ottica, gli anni ’80 possono essere considerati il decennio in cui Hollywood riscopre il pubblico infantile, visto non più come un ammasso di menti da educare a suon di contenuti edulcorati e “controllati”, ma come un target variegato ed esigente. Sono gli anni de I Goonies (1985) e di Gremlins (1984), pellicole che ibridano la componente avventurosa a elementi horror e fantascientifici. I banditi del tempo, uscito nel 1981 e diretto dal membro dei Monty Python Terry Gilliam, spiana coraggiosamente la strada a Joe Dante, Spielberg e compagnia, benché la sua fama sia stata perlopiù eclissata dai ben più famosi epigoni.



Kevin (Craig Warnock) è un ragazzo di 11 anni che alle serate di fronte alla tv preferisce i libri e la Storia. Un giorno nella sua camera compare un gruppo di nani, autoproclamatisi “banditi del tempo” in fuga da un’entità superiore. In possesso di un artefatto che permette di viaggiare nel tempo, i banditi (a cui si è aggiunto Kevin) si muovono di epoca in epoca alla ricerca di tesori preziosi, siano essi appartenuti a Napoleone o ai passeggeri del Titanic. A loro si oppone “Il Male” (David Warner), stregone che racchiude in sé tutte le qualità negative dell’antagonista fiabesco.



La trama de I banditi del tempo è lineare, così come lineari sono la maggior parte delle storie destinate principalmente (ma non esclusivamente) a un pubblico pre-adolescenziale. Meno scontate, invece, le frequenti incursioni nel mondo della filosofia, che Gilliam inserisce alleggerendole con il suo caratteristico estro visivo. Non solo lo scontro tra il principio del bene e del male fa propri tutti i cliché della narrativa fantasy – il castello dell’antagonista, tradizionalmente nero e quasi inaccessibile; il protagonista puro di cuore; l’artefatto magico a cui tutti, per un motivo o per l’altro, tendono -, ma solleva consapevolmente interrogativi profondi, come l’inevitabilità del male e la sua irrinunciabilità ai fini dell’equilibrio complessivo. 

Benché a tratti sia invecchiato male, complice un ritmo non sempre perfetto, nei pressi del finale I banditi del tempo preme sull’acceleratore e dà il meglio di sé sia come idee visive (un gigante che usa una nave come copricapo; il castello dell’antagonista nascosto oltre una barriera magica nel mezzo del nulla), sia dal punto di vista della tensione. È qui che Gilliam sceglie la via più ardua, optando per un finale impietoso che ricorda più le fiabe ottocentesche dei fratelli Grimm che non quelle, edulcorate dall'”happy ending”, della Disney. Il successo al botteghino fu scarso, ma pochi anni più tardi il già citato Gremlins avrebbe continuato sulla stessa strada “anti-disneyana”, guadagnandosi questa volta un’importante fetta di pubblico, se non altro come film cult. 

Per quanto sia minore tra i film di Gilliam, I banditi del tempo permette di fotografare nitidamente alcune delle tendenze più vistose del cinema per ragazzi anni ’80, un grande calderone in cui l’avventura “a la Jules Verne” incontra il gotico e la fantascienza, il film di formazione e l’allegoria.