In una baracca su una spiaggia ingombra di spazzatura e carogne di animali, ma baciata dal sole, su uno sfondo di palazzi sventrati, abbandonati, sgarrupati, di fronte a un mare inquinato, ma ancora bello, vive la famiglia De Gennaro: Peppe, il capofamiglia, molto aggressivo, compone canzoni “cupe e tristi”; Titti la madre, bella donna ma inerte (è Antonia Truppo), fuma perennemente canne; gli zii bigotti, Nunzio e Nando, quasi un coro, sono gli assistenti tecnici dell’impresa di famiglia; e loro, le giovani star, le gemelle Viola e Dasy, cantanti neo-melodiche, inseparabili, perché siamesi unite dalla nascita all’altezza dei fianchi e dei glutei. 



È uno scenario apparentemente quasi post-atomico, da film di Mad Max, quello in cui vivono i De Gennaro, dove i resti di quella che fu una delle più presuntuose civiltà del mondo, quella occidentale, sono sparsi per tutto il territorio. L’interno delle baracche è, invece, invaso, sommerso (come le nostre case), da “na’ marea e’ strunzate: ‘o folletto, il bimby, a lava stoviglie a 1200 giri, a centrifuga, l’estrattore, a lavasciuga, ‘o vaporell, a televisione cu Sky pure dint o ‘cess, o telefono a forma e bbanana” come urla Peppe, esasperato, ai famigliari, in una delle scene più divertenti del film, con una tirata indimenticabile dell’interprete Massimiliano Rossi. E, invece, siamo a Castel Volturno, uno dei luoghi più disastrati del pianeta secondo l’Unesco, nel presente, a pochi chilometri da Napoli e in fondo anche dalla capitale d’Italia. 



E Indivisibili non è un film di fantascienza apocalittica, ma fonde la tradizione del neorealismo con il fantastico felliniano e il grottesco di Ferreri e realizza un’opera di realismo onirico e surreale grazie alla fantasia senza limiti di Nicola Guaglianone, soggettista e sceneggiatore anche di Lo chiamavano Jeeg robot, e alla talentuosa e dinamica messa in scena di Edoardo De Angelis al suo terzo film (dopo Mozzarella Stories e Perez).

Nella landa desolata, che potrebbe ancora essere bella, la famiglia De Gennaro si muove con un pulmino scassato e porta le due giovani cantanti nelle poche isole di apparente ricchezza e decadente civiltà che ancora esistono. Si esibiscono in feste, comunioni, matrimoni, o in riti pagani officiati da un prete spretato, Don Salvatore (un sempre più straordinario Gianfranco Gallo), che si atteggia a Martin Luther King, predicando e promettendo in anglo-campano che we shall overcome a folle di prostitute nigeriane e a vecchie beghine in perenne ricerca di una grazia o in attesa di un miracolo che non verrà mai. 



Genitori e zii sfruttano le capacità canore ma soprattutto l’anomalia delle due ragazze, che le rende oggetto di un culto superstizioso. Ma questa insana normalità viene bruscamente spezzata quando le gemelle, grazie a un medico (Peppe Servillo) incontrato a una festa, scoprono di potersi dividere. Il padre (“Acca’ ‘a gente normale fa a famme e more disperata“), Don Salvatore (“La gente vi ama così, azzeccate. E sentite a me, si nu vulite fa ‘na brutta fine comm’ a ‘sti disgraziate cca’ ffora, azzeccate ve cunven a rrimmane‘), gli altri famigliari, tutti, vogliono convincerle a rimanere unite, a non cambiare. Solo un giovane organizzatore musicale che, guarda caso, si chiama Marco Ferreri, propone alle gemelle di lavorare per lui, dichiara a Dasy di essere innamorata di lei e che farebbe cose e’ pazzi per una donna come lei. E allora non resta altra soluzione per le sorelle, ormai maggiorenni, che fuggire, cercare il “loro” futuro e un nuovo destino. 

Dasy vorrebbe cantare le canzoni di Janis Joplin e non quelle cupi e tristi composte e imposte loro dal padre. Visto che i soldi guadagnati, e necessari per l’operazione, Peppe se li è giocati e che neanche un prete vuole aiutarle, le gemelle in fuga cercano l’aiuto di Marco Ferreri, che le invita sul suo yacht, un’altra isola di eccezionalità nel mare inquinato davanti a Castel Volturno. Lì Viola e Daisy si troveranno in un mondo ancora più sorprendente di quello a cui sono abituate, un mondo di nani e ballerine, di donne-scimmia e variopinte prostitute. Lì troveranno, forse, i soldi per l’operazione, ma dovranno scegliere se sono disposte a tutto, anche all’estremo sacrificio, pur di conquistare quella libertà che gli altri non vogliono concedergli. 

Indivisibili è questo: un film che racconta l’avventurosa conquista della normalità, non dell’eccezionalità, che ossessiona la nostra civiltà, da parte di due aliene che in realtà sono più normali di tutti, come dice Titti, la madre, a Peppe, il quale dubita che possano cavarsela da sole (“Chelle so doje handicappate ma che ponn fa?“) “Peppi’ chelle so cchiu normal’ e me e te! “. In uno dei dialoghi più emozionanti del film, e forse del cinema italiano degli ultimi anni, quando Viola manifesta le sua paura di separarsi dalla sorella (“Ma sta gabbia, comm’ a chiamm tu, simm nuje, simm nate accussì“), Dasy sintetizza mirabilmente questa voglia di normalità (“E cert’ ca teng’ paura, mic’ so scem! Però je m’a sent che vogl’ rischia’. Penso che ne vale a’ pena pecché voglio viaggia’, vogl’ ire a balla’ vogl’… nu cellulare! me voglio bere na’ butteglia e’ vino senz’ ‘a paura ca po’ t’mbriac pure tu… vogl’ fa ammore. Vogl’ fa ‘ammore pecché so femmena e vogl’ fa ‘ammore”).

È una favola dura, un viaggio avventuroso e faticoso per la conquista della libertà, una metafora azzeccata, a ben pensarci, della condizione umana. È un film colto e ricco di citazioni evidenti o meno (i nomi delle protagoniste sono un omaggio alle due gemelle siamesi Violet e Daisy Hilton, interpreti del famosissimo film Freaks di Tod Browning del 1932), ma anche popolare, pieno di musica (di Enzo Avitabile) e le canzoni non sono affatto cupe e tristi, anzi. 

Le due gemelle Fontana, per la prima volta sullo schermo, sono due attrici nate, incredibili nei loro duetti e nel sopportare un trucco che le costringe a essere unite per quasi tutta la durata del film. Premio Fedic e Pasinetti all’ultima Mostra di Venezia, Indivisibili avrebbe forse meritato più di Fuocoammare di rappresentare l’Italia nella corsa per l’Oscar 2017. Buona visione.