Senza dubbio ci vuole coraggio a girare un film su San Francesco d’Assisi sotto l’attuale pontefice, e soprattutto in seguito ai pregevoli precedenti cinematografici e televisivi. Renauld Fely e Anauld Louvet, registi de Il sogno di Francesco, hanno affrontato questo rischio; ci sembra purtroppo che, al di là del coraggio, non ci sia molto altro da valorizzare.
Fin dall’inquadratura iniziale capiamo che questa nuova rappresentazione del Santo di Assisi non vuole distanziarsi da certe immaginette oleografiche: Francesco ci appare infatti come un Elio Germano claudicante, sovrastato da diversi uccellini che osserva con sguardo spiritato. La vicenda si sviluppa in maniera confusa e fin troppo lenta, raccontando del travagliato riconoscimento della Regola di Francesco da parte del papa Innocenzo III.
A questo proposito i registi tratteggiano i tre comprimari, in maniera grezza ed eccessivamente schematica, per mostrare le varie posizioni che si possono assumere di fronte alla Regola. Da una parte, il potere centrale di Roma, raffigurato dalle mani ingioiellate dei porporati, preoccupati solo di detenere il potere e di controllare il [aggiungerei: pericoloso] manipolo di uomini che Francesco ha radunato attorno a sé. Di fronte a questi si pone il Santo, definito dagli stessi registi “come un sognatore e un utopista” che non si cura di quel che gli accade attorno, come fosse alienato. C’è infine il vero protagonista del film, Elia da Cortona. Frate Elia, amico di Francesco, si pone come uomo del compromesso, disposto a levigare i punti più ruvidi e sgradevoli della Regola, per far ottenere il riconoscimento dell’Ordine francescano da parte delle autorità ecclesiastiche.
Stupisce constatare che proprio questo frate, poco stimato dai confratelli benché amato da Francesco, sia elevato dagli autori al ruolo di eroe e martire dell’intera vicenda. Elia infatti sembra l’unico capace di comprendere a fondo la situazione e pare che a lui in sostanza vada il merito del riconoscimento della Regola.
Il presunto merito poggia però su presupposti veramente discutibili. Elia infatti, senza informare Francesco, opera radicali censure sulla Regola, sopprimendo i riferimenti al Vangelo, l’insistenza sulla centralità dei poveri e la sottolineatura dell’obbedienza a Cristo. Sembra pertanto che il documento approvato sia un testo svuotato dal carisma di Francesco: grossolano errore storico, perché, pur essendo vero che l’approvazione dell’Ordine avvenne dopo un’ampia discussione, la Regola francescana fu infine accolta nella sua forma genuina, senza alcun compromesso.
Ciò che risulta sorprendente, a tratti persino fastidioso, è veder dipinto il frate che ha tradito l’amico e fondatore come colui che più di tutti lo ha amato, perché sarebbe stato l’unico che ha tracciato una via agevole, percorribile senza particolare impegno, mortificando la visione [direi: ardita e impegnativa] proposta da Francesco.
Vi sono inoltre diversi dialoghi grossolani, come quello tra frate Elia e il porporato che afferma: “Francesco è molto amato, ma probabilmente non ha amici”. Una frase che concorda con le innumerevoli scene in cui Francesco gioca con i poveri, in particolare i più piccoli. Ad avallare questo pesante giudizio è inoltre l’atteggiamento del frate, che senza replicare lascia trasparire il suo assenso.
Si potrebbero citare molte altre incongruenze gravi riguardo al contesto storico presentato, ma per dare l’idea di quanto sia distorta la prospettiva che questo film propone, basti dire che Francesco non è descritto come uomo innamorato di Cristo, del Dio fatto uomo, ma invaghito di uno strano dio panteistico. Questo aspetto è sottolineato in maniera evidente dalle numerose inquadrature riservate ai paesaggi, ma anche dalle scene dei frati in preghiera: la macchina da presa [è la denominazione tecnica convenzionale] li riprende mentre in chiesa gridano le formule di orazione guardando in alto in modo stralunato; non una sola inquadratura rivela che i loro sguardi sono rivolti al crocefisso.
In sostanza, la Chiesa è mostrata qui come semplice aggregazione di persone più o meno assennate o alienate, tutte soggiogate da capi dispotici. Forse involontariamente, i registi affermano dunque che una Chiesa immemore di Cristo, suo fondamento, non ha motivo di esistere. Scelgano i lettori se tanto basta a motivare l’ingresso in sala.