Per tutti era Cranio Randagio, ma per chi lo conosceva Vittorio Bos Andrei era anzitutto un bravo ragazzo. La notte tra l’11 e il 12 novembre moriva a Roma, in una casa nel quartiere della Balduina: secondo le prime ricostruzioni in quell’appartamento sarebbe passato ogni tipo di stupefacente e Cranio Randagio potrebbe essere rimasto vittima di un mix letale di alcol e droga. Di Vittorio i media mainstream sanno solo poche cose, tra cui che aveva partecipato a X Factor. Ma, al dì là dei motivi della sua morte, chi era davvero questo ragazzo di 22 anni? Ce lo racconta Elena Bonelli, cantante, attrice e regista che ha collaborato con lui e che ha imparato a conoscerlo nella sua quotidianità, quando Vittorio era solo un giovane che amava la musica e i suoi studi universitari. Cranio Randagio ha partecipato alla prima edizione di “Dallo stornello al rap”, talent musicale organizzato proprio da Elena Bonelli e dove nel 2015 il ragazzo ha vinto il primo premio. 



In quali circostanze vi siete conosciuti lei e Vittorio e cosa ha pensato di lui a livello a livello artistico la prima volta che l’ha sentito cantare? 

Era molto bravo. Non a caso, la canzone che ha portato alla prima edizione di “Dallo stornello al rap” ha vinto, ed è stata votata da un comitato di esperti di musica molto competenti. Partecipare al concorso e vincere il primo premio è stata per lui una cosa bella e molto importante. La sua canzone, “Mamma Roma, addio”, è un brano forte che suggerisco a tutti di ascoltare perché parla di una Roma vera, da cui scappare. 



E invece dal punto di vista umano? 

Forse avrò l’ingenuità tipica di chi non ha mai fatto uso di sostanze, ma io Vittorio non l’ho mai visto alterato o strafatto, né di droga né di alcol. Ho sempre conosciuto un ragazzo educatissimo e serio. Non conosco gli esiti dell’autopsia, ma quando ho saputo della sua morte, ho pensato: “Ecco, è caduto in qualche trappola”. Mi auguro che non esca come un drogato o un alcolizzato, perché non era così. Era un ragazzo che amava la sua vita, si è laureato a 22 anni e ci teneva a passare bene i suoi esami, non era uno sbandato. 

Vittorio era famoso nel mondo della musica e si era affacciato anche all’ambiente mainstream, ma era rimasto comunque attaccato anche alla scena più underground di Roma, tanto che sabato sera avrebbe dovuto suonare a una serata organizzata da un gruppo di studenti delle scuole. Quindi un ragazzo che non si era montato la testa ed è sempre rimasto con i piedi per terra. 



Esatto. Conosco rapper veterani molto più “stronzi”. E mi fa rabbia vedere come sia stato dipinto a livello mediatico. Mi sembra che a reti unificate i media calchino su quanto accaduto la notte della sua morte solo per motivi di ascolto, perché la gente ormai guarda solo cose morbose. Si propone continuamente gente che si sballa, che si droga. Sembra che si faccia l’apologia dell’utilizzo degli stupefacenti. Facendo vedere ai giovani questa violenza e questo sballo continui gli arriva un messaggio devastante. Poi non ci lamentiamo se un ragazzo di 22 anni perde la vita.  

 

Vittorio era giovanissimo, ma già una carriera ben avviata dato che aveva vinto la prima edizione del suo talent “Dallo stornello al rap” e aveva partecipato ai provini di X Factor. Le parlava mai del perché avesse scelto di intraprendere la carriera musicale? 

Quando tornavamo dai vari eventi, spesso io e mio marito lo abbiamo accompagnato a casa in macchina e facevamo delle lunghe chiacchierate. Lui studiava all’università ed era molto attaccato a quello che faceva. La musica era un riempitivo importante ma non l’obiettivo finale, almeno da quello che avevo percepito. Mi metto solo nei panni della mamma che si vede strappato un figlio così giovane. 

 

I giornali hanno dipinto Vittorio come un drogato, un ragazzo vicino al successo morto per tossicodipendenze. Come vorrebbe che fosse ricordato? 

Quello che ho conosciuto io non era così. Era un ragazzo giovane, pieno di vita, di sogni, che si era laureato, che amava la musica. Vorrei che fosse ricordato come il ragazzo che ho avuto la fortuna di conoscere, un giovane di 22 anni carino, timido, simpatico, umile e attaccato alla sua realtà quotidiana. Poi che sia inciampato, che sia caduto, non lo so, ma quella è un’altra cosa. Magari non passeranno queste sue caratteristiche nell’immaginario collettivo, perché i giornali ci hanno calcato la mano senza rispetto, ma io lo ricorderò così. Mi ha fatto conoscere un mondo diverso che mi è entrato nel cuore.  

 

Ha un ricordo particolare di lui che le è rimasto particolarmente impresso? 

Una festa a casa mia dove ho fatto cucinare un menù alla romana e abbiamo mangiato delle lumache. Conservo video di me e Vittorio dove le descrivevamo, spiegavamo come si mangiano e a cosa somigliano. Lui parlava spesso con mio marito e quello che mi piaceva molto era anche questo: vedere generazioni diverse che s’incontravano e parlavano insieme. Queste sono le cose belle, questo è quello che voglio ricordare. 

 

Vittorio è morto la scorsa settimana in circostanze che sono ancora da chiarire. I suoi amici più intimi hanno scritto una lettera di ricordo e hanno detto che il ragazzo quella sera non era con dei veri amici ma solo con dei codardi.  Le prime ricostruzioni parlano di un festino a base di alcol e droga. Lei crede che ci sia qualcos’altro che è accaduto in quella casa e che non sta ancora trapelando? 

Da quello che ho letto non è molto chiaro quello che è successo. Prima non si è svegliato, poi si è svegliato ed è crollato. Se le persone con lui quella sera lo avessero lasciato morire per non chiamare qualcuno per paura di svelare stupefacenti hanno ragione gli amici, sono dei codardi. Però non eravamo lì. Io quello che continuo a sostenere, e ne sono convinta, è che c’è cascato, l’ha fatto e ci ha lasciato le penne, come potrebbe succedere a tanti altri ragazzi. Perchè lui non era così.

 

Sono in molti a rendere omaggio in questi giorni a Vittorio, lei ha in mente di organizzare qualche evento per ricordarlo? 

Sto facendo il film “Dallo stornello al rap” che dedicherò a Claudio, una persona che ha lavorato con me per trent’anni e a Cranio Randagio, sperando che possa portare il suo nome in tutto il mondo.

 

(Natascia Grbic)