Ci avete fatto caso, per caso? Prendiamo un caso a caso: Donald Trump. Ha vinto le elezioni Usa, “suonandole” all’altra, Hillary Clinton, data per strafavorita; “suonandole” ai mass media, schierati in massa per la sua avversaria democratica; e “suonandole” pure ai sondaggisti, avvezzi alle previsioni e rilevazioni alla stregua dei giocatori della schedina: quasi mai ci azzeccano; tutt’al più, solo uno su mille ce la fa a centrare uno straccio di pronostico.
Volete un altro caso, sempre a caso? Silvio Berlusconi. Individuato in Stefano Parisi il suo (ennesimo) delfino, il Cavaliere dall’inizio lo coccola come un pesciolino rosso nel suo acquario, lo fa nuotare contro le correnti di Forza Italia, cioè controcorrente, alla stregua di un salmone scandinavo da affumicare; poi, sul più bello, quando ormai Parisi si sente pronto per nuotare non già nella piscina di Arcore, bensì nel mare aperto della politica italiana… zac!, lo pesca con il suo retino e lo butta in padella nel fritto misto dei presunti – agli occhi di Silvio – leader (vedi alla voce Alfano, Casini, Fitto, Fini e affini) che ha cucinato, uno dopo l’altro, in vivace olio bollente. Insomma, Parisi val bene una… messinscena da nouvelle cuisine.
Non vi bastano due casi a caso? Ecco un terzo caso: Matteo Renzi che le canta a Juncker e a tutta l’Unione europea. Secondo fonti ben informate, ogniqualvolta si reca a Bruxelles per reclamare qualche milioncino di euro in più, il nostro premier si presenta ai vertici europei fischiettando un simpatico, seppur datato, motivetto, che a qualcuno ricorda una lontana canzone di Gilberto Mazzi: “Se potessi averne / mille in più al mese…”.
Insomma, se tanti casi fanno un indizio, è ben chiaro che di questi tempi tutti le cantino a tutti. Benché probabilmente il più sonoro sia stato Bob Dylan con il suo perentorio rifiuto di andare a ritirare il premio Nobel in quel di Stoccolma. In Rete i social media si sono scatenati: ha rifiutato per il grande affetto nei confronti del nipotino Dog (Dog Dylan), che Bob passa ogni giorno a prendere a scuola (“Per mio zio – ha detto il piccolo Dog agli amichetti – è una cosa del tutto paranormale”); no, è che sta seguendo un corso di Shastar Vidya nel Punjab che non può in alcun modo interrompere; figurati, ha deciso di non andare perché non sa dove si trova la Svezia, figurarsi la sua capitale… In realtà, il motivo è ben più banale: la moglie non vuole che si monti la testa alla veneranda età di 75 anni. Ci sembra già di sentirla: “Il mio Bob è rimasto il ragazzo semplice di un tempo. Si lava poco, il minimo direi, come quando era un ragazzino ribelle; e poi a tavola rutta in continuazione, ma soprattutto dice un sacco di parolacce: ve li immaginate con gli incartapecoriti parrucconi svedesi che figura ci farebbe?”.
Vero è che pure gli accademici di Stoccolma con i cantanti potevano andarci un po’ più cauti. Qualche anno fa, per esempio, il nostro Gianni Morandi è stato vicinissimo ad aggiudicarsi l’ambito premio. Tutto praticamente fatto, senonché si sono messi di traverso gli Abba, il famoso quartetto svedese, che ovviamente a quel tempo godeva di ottime entrature a Stoccolma. Venuti a sapere della designazione, a parer loro senza alcun senso, esclamarono: “Mamma mia! Come può uno scoglio arginare il mare?” (è un famosissimo modo di dire svedese: l’esclamazione esprime stupore, meraviglia, sbigottimento; l’interrogativo sta a indicare l’inettitudine di chi tenta di appropriarsi di una gloria immeritata).
Ebbene, con i diritti d’autore della prima parte della frase, gli Abba ci camparono per decenni – e pure i loro nipoti, a tutt’oggi, non se la passano troppo male (“Mamma mia!” è diventata una canzone e successivamente un musical di successo). Della seconda parte del modo di dire, qualche anno dopo si è appropriato il signor Giulio Rapetti, in arte Mogol, il quale ebbe la benemerita accortezza di proporla a Lucio Battisti. Il resto è storia della musica, e “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi” un capolavoro assoluto.
La storia del Nobel, dunque, contempla episodi di mancati ritiri, per un motivo o per l’altro. Ma anche di… “mancati” mancati ritiri. Il caso forse più eclatante rimane quello di Luigi Pirandello, vincitore nel 1934 del Nobel per la Letteratura “per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale”. Avvisato da un amico, poi prematuramente scomparso e mai troppo compianto, il fu Mattia Pascal, Luigi – che quel giorno girovagava per le vie di Agrigento accompagnato da una mezza dozzina di strampalati compagni di passeggio, rosi da un’unica ambizione, diventare protagonisti di un romanzo (i famosi Sei personaggi in cerca d’autore) – rimase talmente colpito dalla bella e inaspettata notizia che rientrò con passo spedito a casa e ne parlò per primo con il custode del suo stabile: “Pensaci Giacomino – gli disse -: Liolà nel mondo Cecè ancora qualcuno che apprezza Il piacere dell’onestà. Ma io non posso andare a Stoccolma a ritirare il Premio: un po’ sono gli acciacchi, un po’ è che devo accompagnare Ciàula a scoprire la luna, un po’ è che non so dove potrò conservare l’ambito riconoscimento…”.
“Cumpare Luisuzzu – rispose il custode Giacomino -, in posto sicuro conservarlo si deve. Foss’in voi, lu metteressi in La giara di Enrico IV!”.
“Bravo, ottima sistemazione pensasti! Ma chi a Stoccolma mi accompagna, Uno, nessuno o centomila? E poi, in Svezia tanta neve pare ci sia…”.
“Così è (se vi pare)…”.
“Dunque tanto freddo facesse!”.
“Pira Pira, non angustiatevi troppo, queste Lumìe di Sicilia sono! Mettetevi in capo il vostro Berretto a sonagli e tranquillo partite! … Ah, vossignorìa, non si dimenticassi di preparari un bel discorso ai compari svedesuzzi!”.
“Minchia, pure quello mi tocca! E dove me lo posso appuntare?”.
“Un consiglio mio volete? Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore!”.
E senza attendere risposta, spinse Luigi verso la porta, chiamò un taxi e lo salutò con un sicilianissimo e benaugurante: “Nun ti perdiri a Stoccolma, Pira Pira!”