Ho finalmente visto una puntata della fiction Rocco Schiavone, la terza dal titolo “Castore e Polluce”. Le prime due conto di vederle a breve, mi riprometto di farlo visto che ho letto tutti i romanzi di Antonio Manzini sul commissario. Come ascolti a Rai2 non si possono certo lamentare: la prima puntata è arrivata al 14% di share, la seconda trasmessa nella stessa settimana era scesa al 10%, mentre l’ultima ha rasentato il 15%.



Partiamo dal commissario Schiavone che si fa chiamare vice-questore. Va in giro con un loden verde vintage, porta le Clarks scamosciate sulla neve e sull’acqua cambiandone due paia a puntate. È un uomo iroso, cupo, non felice, arrivato in castigo alla questura di Aosta per aver massacrato di botte uno stupratore, figlio di un potente politico, dopo che l’aveva fatta franca. È incazzoso, tratta coi piedi e a male parole i suoi sottoposti. Ha un dolore nel cuore, è vedovo, la moglie di cui era innamoratissimo è morta. Fuma uno spinello ogni mattina, ma di questo parleremo dopo. È anticonformista, si fa aiutare da amici delinquenti, e, in soldoni, non è un modello d’esempio di tutore della legge.



A interpretarlo è il bravo, secondo me bravissimo, Marco Giallini, una certezza dopo i film e fiction vestiti in carriera. Vi ricordo il bel film “Se Dio vuole” in coppia con Alessandro Gassmann uscito nel 2015. Giallini è perfetto nei panni di Rocco Schiavone, nemmeno una sbavatura, tanto che l’autore dei libri, Antonio Manzini, ha affermato che nei prossimi libri non può non tener conto dell’interpretazione di Giallini. Un po’ come la coppia Montalbano/Zingaretti.

Trasportare la tristezza di Schiavone ad Aosta non è stato facile. Il regista, Michele Soavi ha rischiato e si è superato. Il personaggio entra nei colori grigio/blu dei paesaggi con cui è stata virata la pellicola con la color correction. C’è poi il bianco delle Alpi Aostane e del vestito della moglie con cui parla come se fosse viva, ripresa in flashback che sono introspettivi e allo stesso tempo rendono umano il poliziotto. Come per Montalbano, anche Schiavone ha delle macchiette come sottoposti, un grillo parlante e in più una collega con cui spesso battibecca, ma di cui ha molto rispetto. Figure e personaggi ben studiati.



La puntata che ho visto si sviluppa su due investigazioni parallele. In una bara viene trovato lo scheletro di una seconda persona, mentre in una scalata perde la vita uno dei tre soci di uno studio di architettura. Il denaro è lo sfondo di questi misteri. Il secondo scheletro è quello del marito di una povera donna con figlio disoccupato che per non perdere la pensione lo ha fatto nascondere in una bara già sotterrata. L’architetto morto in cordata è stato lanciato giù dal dente del gigante dai due soci. L’intuito di Schiavone risolverà i casi. Il primo però non lo denuncerà e la povera donna si terrà la pensione. Questa è la giustizia per Rocco Schiavone. 

Passiamo alle polemiche scaturite dagli spinelli e dal ruolo pubblico che Schiavone rappresenta. Il centrodestra ha fatto esternazioni a più non posso, il sindacato di polizia anche, i giornali pure. Tutto è stato buttato in politica solo perché la fiction è stata pagata coi soldi pubblici. Non sono favorevole alla cannabis e alla sua liberalizzazione. Che la Rai viva con soldi pubblici lo sappiamo dal 1957, che sia immorale fumare uno spinello pure, che lo fumi un funzionario di polizia è uno schiaffo alla divisa. Ma dobbiamo ricordarci anche che i partiti hanno sempre lucrato sulla tv di Stato, che ogni governo ha cambiato direttori e dirigenti lasciando enormi cimiteri di elefanti in quel di Saxa Rubra, che adesso vige la legge Cirinnà e in Un medico in famiglia il bacio tra gay è normale e le famiglie allargate sono una realtà. Quando la cannabis verrà legalizzata (speriamo mai) nessuno avrà nulla da eccepire a Schiavone. Non tralasciamo che da quest’anno, volenti o nolenti si paga il canone Rai in maniera obbligatoria nella bolletta della luce.