Il padre di Vittorio Sgarbi, Giuseppe, sarà questa sera ospite nel salotto di Maurizio Costanzo per la consueta puntata della domenica sera. L’uomo ha pubblicato da poco ‘Lei mi parla ancora’ una sorta di dichiarazione d’amore per la moglie Rina, deceduta circa un anno fa. Una storia di ricordi e sentimenti, raccontati con sincerità da Giuseppe Sgarbi. La figlia, Elisabetta Sgarbi, ha rilasciato un’intervista a ‘Io Donna’ proprio per parlare del libro del padre, una storia che l’ha profondamente commossa nel ricordare la madre. “Quando ho riletto la bozza, con maggiore distanza, mi sono resa conto, che mio padre ha una qualità rarissima, ovvero l’aderenza alla vita perchè tutto è straordinariamente presente” commenta Elisabetta Sgarbi. Questa sera al Maurizio Costanzo Show il senior Sgarbi presenterà questa sua opera, nel ricordare ‘una famiglia unita ma sempre allargata’ come confermato dalla figlia Elisabetta.



Il Maurizio Costanzo Show ha lanciato sui teleschermi d’Italia nei primi anni ’90 un’esponente di primo piano nel panorama culturale italiano, Vittorio Sgarbi, ma in pochi conoscono la genesi famigliare del noto critico d’arte. A colmare questa lacuna, il padre novantacinquenne, Giuseppe Sgarbi, da alle stampe il memoir “Lei mi parla ancora”, dedicato alla moglie Rina, mancata da poco. Definire il libro un’autobiografia è riduttivo, così come non è corretto parlare di un’autocelebrazione della famiglia del ridondante personaggio televisivo. La luce riflessa della fama di suo figlio, non serve tanto a confezionare un album di ricordi per ammirarne i primi successi e le scoperte nelle gallerie d’arte, ma piuttosto è pensato da Giuseppe, per riaffermare la propria dignità di scrittore e padre, vissuta nella malinconia della perdita di Caterina, moglie amatissima e devota. Sullo sfondo, c’è anche il tempo e lo spazio per soffermarsi sul percorso di un Vittorio giovanissimo, attento a costruire la propria vita immerso nei capolavori dell’arte antica e contemporanea.



La casa in cui Giuseppe vive, costruita con la fatica del lavoro di farmacista nella campagna della bassa ferrarese, è ora una sorta di “Vittoriale”, museo dei trofei e dei ritrovamenti pittorici e scultorei del figlio, ma non ha sempre avuto questa forma e il libro mira a svelarne l’essenza, quando la presenza di Rina avvolgeva tutto ed il centro di ogni cosa era lei. Lui, Giuseppe, non era nemmeno portato per la farmacia. Era un lavoro che aveva scelto a motivo di elevazione sociale perchè allora, come oggi, un farmacista guadagnava bene ed aveva il rispetto della gente. Rina, lei sì, “era brava davvero” e amava il contatto con i clienti dietro il banco. In lui c’era l’etica del mestiere e del sacrificio, la stessa trasmessa al figlio a cui offriva la possibilità di leggere centinaia di volumi, grandi classici e saggi ordinati per corrispondenza: “Perché bisogna studiare tanto figlio mio”, gli diceva. Il senso della letteratura, coltivato fin da giovane, l’ha portato a scrivere questo libro di getto, come un fiume in piena, e l’affetto verso la vita affiora anche nei rapporti con amici, tra cui qualche frequentazione celebre: “Con Bassani giocavamo a tennis insieme. Una volta c’era anche Zurlini”. C’è anche “l’alluvione che bagna la terra rossa” a sconvolgere la quotidianità di un mondo lontano, quello dei primi anni ’50, da cui la storia di questo amore parte: “Prendemmo in affitto e poi comprammo la farmacia. Non ci eravamo ancora ripresi dai bombardamenti e Ferrara finì sott’acqua”. La tragedia del Polesine fu anche, per certi versi, più disastrosa del secondo conflitto mondiale, “perchè la gente era allo stremo per la guerra, aveva fame”.



Gli Sgarbi, Giuseppe e Rita con in pancia Vittorio, diventano anche l’emblema della ricostruzione, dall’impotenza della catastrofe a un nuovo inizio: “Rina gestiva la farmacia. Portava soccorso a chi ne aveva bisogno. Era già incinta di Vittorio”. Giuseppe Sgarbi sviluppa un lampo luminoso di vicende tortuose, 60 anni di tenerezze, messe per scritto a riconoscenza permanente. Non rimprovera nulla a Vittorio, esuberante e bulimico di vita, col suo circo di donne e personaggi di cui ama circondarsi. Il critico d’arte dichiara al Corriere della Sera: “Mamma mi aiutava con le aste. Aveva fiuto, strappò a un collezionista un Guercino importante”. Il nome del figlio è il fil rouge che lo lega al nonno: “Mio padre”, dice Giuseppe sempre al Corriere, “si chiamava Vittorio ed era un libertino”.