Con il rinvio a giudizio di Stefano Binda, il caso di Lidia Macchi torna sempre più al centro dell’attenzione, in attesa della prima udienza del processo a suo carico e che si svolgerà il prossimo 12 aprile. La famiglia della giovane studentessa si è costituita parte civile, come fa sapere il quotidiano Il Giorno online. Ma quali sono le accuse pesantissime a carico dell’ex compagno di liceo di Lidia, arrestato solo lo scorso gennaio a distanza di quasi 30 anni? Stefano Binda, secondo l’accusa, si sarebbe macchiato dell’omicidio pluriaggravato dagli abietti e futili motivi e dalla crudeltà. Le aggravanti gli sarebbero state contestate in quanto Lidia Macchi sarebbe stata minacciata al fine di avere un rapporto sessuale con lui, quindi colpita a morte. Secondo il contenuto del capo di imputazione, Lidia viene vista come da parte dell’imputato come una “donna considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso, tradimento da purificarsi con la morte”. Questo, dunque, celerebbe anche l’assurdo movente dietro la morte della giovane studentessa di Varese.



Sul caso di Lidia Macchi si andrà a processo il prossimo 12 aprile con la corte di Assiste a Varese, come ha deciso ieri il gup Anna Azzena: Stefano Binda unico accusato e in carcere per l’assassino di 30 anni fa della giovane Lidia Macchi. Le prove in mano all’accusa sono parecchie anche se nessuna di tipo scientifico e proprio su questo punto si giocherà la contesa legale tra le due parti: la prova regina sarebbe la calligrafia considerata uguale tra la famosa lettera mandata ai genitori di Lidia il giorno dei funerali e uno scritto ritrovato anno dopo in un diario di Binda conservato a casa sua. Di scientifico al momento però non c’è nulla: come riporta Varese News, l’accusa negli scorsi mesi ha cercato l’arma del delitto nel parco di Masnago dove è avvenuto il delitto perché un’amica di Binda ha detto di avergli visto gettare un sacchetto in quel luogo. Non sono stati trovati oggetti riconducibili al Binda, ma sono stati rinvenuti molti coltelli. «A Cittiglio è stata effettuata una campagna di scavi della zona del Sass Pinì ma senza significativi risultati. Si attendono invece i risultati della riesumazione della salma. Si spera che che vi sia un dna isolabile sui poveri resti, ma finora i laboratori incaricati non hanno consegnato la relazione», si legge nel focus de il Giorno in edicola oggi.

Il caso di Lidia Macchi rischia davvero di andare verso una svolta: ieri è stato rinviato a giudizio Stefano Binda dopo anni di indagini e falsi allarmi e false piste, dopo quel 5 gennaio del 1987: Binda, conoscente e compagno di scuola della ragazza di Cittiglio, è accusato di aver violentato e ucciso la povera Lidia dopo le novità offerte dalle prove scoperte ad inizio anno che hanno portato all’arresto immediato. Ma la tesi della difesa, ribadita ieri nell’Udienza Preliminare, è assai aversa alle prime conclusioni dei giudici: secondo la difesa infatti, «La calligrafia sulla lettera-confessione inviata nel 1987 ai genitori di Lidia Macchi non è di Stefano Binda». Secondo gli avvocati difensori Sergio Martelli e Patrizia Esposito, quella lettera giunta a casa Macchi il giorno dei funerali della figlia Lidia non è mai stata scritta da Binda; «La perizia difensiva sostiene altresì che non sia stato Binda a scrivere il biglietto intitolato «Stefano è un barbaro assassino», trovato dalla polizia nelle agende personali durante una perquisizione a Brebbia; e nemmeno sarebbe da attribuire al Binda l’intestazione della busta nella quale era contenuta la lettera inviata ai genitori di Lidia. La consulenza è stata presentata dagli avvocati dell’imputato durante l’udienza preliminare che si è svolta ieri a Varese, al termine della quale il giudice Anna Azzena ha disposto il rinvio a giudizio del cinquantenne», si legge nel report dei colleghi di Varese news.

Il processo a Stefano Binda, in carcere per il presunto omicidio di Lidia Macchi, si svolgerà il prossimo 12 aprile. Lo ha stabilito ieri il gup di Varese, Anna Azzena, che ha deciso di rinviare a giudizio l’imputato per il delitto accaduto nel gennaio del 1987. Nei prossimi giorni, i legali di Binda potrebbero quindi fare richiesta per il rito abbreviato, mentre l’imputato continua a dichiararsi innocente, come ha sempre fatto fin dal suo arresto. “Mi auguro solo che la verità venga a galla, sono distrutta”, afferma la madre di Lidia Macchi, Paola Bettona, in un’intervista de La Repubblica, “mi ha guardata ma non ha parlato. Se è stato lui (Binda, ndr) spero che prima o poi confesssi”. Sono queste le parole della madre della ragazza, in attesa che quella giustizia che attende da oltre trent’anni finalmente si compia. Secondo gli inquirenti, l’omicidio di Lidia Macchi è avvenuto a causa della forte gelosia di Stefano Binda e della fede cieca nel loro credo. L’uomo avrebbe scoperto che la ragazza si era già concessa a qualcuno, motivo che avrebbe scatenato la sua ira e che l’ha portato prima a violentarla e poi ad ucciderla. Gli inquirenti credono anche che sia stato lo stesso Stefano Binda ad inviare ai genitori la famosa poesia “In morte di un’amica”, il giorno dei funerali di Lidia.