Non è difficile ritrovare lo stile di Tim Burton nel suo nuovo film Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, tratto dal romanzo di Ransom Riggs. Stranezze, significati nascosti, scenari inquietanti e personaggi singolari legano la storia al regista di Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere, sempre a suo agio con le atmosfere gotiche e il potere dell’immaginazione. In questo caso, protagonista della storia è Jacob (Asa Butterfield), un adolescente timido e goffo che fin da bambino è stato influenzato dalle storie del nonno Abraham, sfuggito alle persecuzioni naziste e grande storyteller



Nell’assolata e monotona cittadina di provincia della Florida che fa da sfondo alla prima parte del film, Jacob si scontra con una tragedia inattesa, la morte del nonno che viene ritrovato senza occhi. La polizia archivia il caso, ma Jacob non può fare a meno di pensare alla missione che gli ha affidato il nonno: cercare Miss Peregrine e la casa in cui era cresciuto, nel lontano Galles.



E così, accompagnato dal riluttante padre, Jacob sbarca in una terra fredda e isolata, dove trova una casa in cui abitano i ragazzi speciali conosciuti attraverso i racconti del nonno. Tutti loro hanno una caratteristica magica, come la biondissima Emma, che deve indossare scarpe di piombo per non volare via; vivono sotto l’ala protettrice di Miss Peregrine (una sempre affascinante Eva Green), la direttrice, che ha creato per loro un luogo fuori dal tempo in cui i bambini resteranno tali per sempre. Jacob è convinto di non avere doni speciali, finché non scopre di essere l’unico a vedere i mostri che mangiano gli occhi e che hanno ucciso suo nonno… e così, insieme alla squadra di ragazzini, decide di combattere contro i nemici e contro il tempo. 



Burton costruisce una storia in cui la realtà si trasforma in fantasia e viceversa, mentre il confine tra i due mondi si assottiglia. Jacob entra in un anello temporale in cui le regole della fisica non esistono più, una dimensione creata da Miss Peregrine con il suo dono segreto, che le permette di riavvolgere continuamente un giorno specifico del 1943 per impedire che una bomba distrugga la casa e uccida i bambini. Si crea così un’infanzia eterna diversa però da quella di Peter Pan, una ripetizione che protegge, ma, allo stesso tempo, impedisce di vivere davvero. I pericoli esterni si incarnano in mostri, come è tipico delle fiabe e delle storie fantastiche; il topos della mutilazione degli occhi è ricorrente nella letteratura e nel cinema, metafora della capacità di vedere oltre. 

In un mondo in cui, come commenta il pragmatico padre di Jacob, sembra non esserci più niente da esplorare, esistono universi paralleli a cui possono accedere solo le persone “speciali”, dotate di immaginazione e di una sensibilità particolare che le porta a credere e ad accettare ciò che è strano, diverso, inspiegabile. Come i bambini di Miss Peregrine. 

Il percorso di Jacob è anche una scoperta di sé, del proprio talento che, in una società cieca a ciò che non è comune, normale, banale, può non essere riconosciuto. Il ragazzo trova il coraggio di combattere e di spiccare il volo, fino ad attraversare le epoche per raggiungere la ragazza che ama. 

Se visivamente il film è suggestivo, avvolgente, pieno di sorprese ed effetti speciali, dal punto di vista emotivo manca qualcosa. Dei ragazzini vediamo i doni, ma non abbastanza le psicologie. Ci si meraviglia, ma non ci si commuove. Lo dimostra la battaglia finale nel luna park, quasi forzata nei suoi passaggi, che non riesce a tenerci con il fiato sospeso. È come se rimanesse sempre un certo distacco, che non impedisce di godere il film, ma non fa nascere il desiderio di rivederlo.