Giorno d’oggi, nel cuore di una foresta del Nord America vive una strana famiglia composta da sei ragazzi e il loro padre Ben, interpretato da Viggo Mortensen, il quale li sta educando a essere dei veri uomini per poter affrontare la vita e tutti i pericoli che essa contiene. Il titolo del film, Captain Fantastic, dovrebbe suggerire che Ben sia appunto fantastico, straordinario, ma seguendo tutta la storia sono altri gli aggettivi che verrebbero in mente per definirlo.



Innanzitutto questo padre ha deciso di crescere la sua famiglia alienandola dal mondo moderno, allevando i figli come una sorta di tribù che vive in capanne e capace di sopravvivere in mezzo al bosco con un coltello. Per testimoniare quanto sia fantastico Ben, il regista Matt Ross ci regala una scena d’apertura con Bo, il maggiore dei fratelli, che sgozza un cerbiatto mangiandone poi il cuore crudo. Cosa ci sia di fantastico in tutto questo è lasciato al parere del pubblico.



Arriva poi la notizia che la madre dei sei figli-guerrieri si è suicidata tagliandosi le vene dopo anni passati a soffrire di una grave malattia che l’ha resa pazza. È a questo punto che si crea un binario che sarebbe monotono, se non fosse per le continue scene di violenza gratuita, che farebbero quasi rimpiangere la monotonia.

Da una parte il fantastico papà che prende tutti i sei figlioletti e si mette in viaggio per raggiungere l’amata sposa; dall’altra il “cattivo” padre di questa donna che desidera invece seppellirla dopo una cerimonia in chiesa, essendo la sua famiglia di tradizione cristiana. Da notare che Ben ha insegnato ai figli che “non bisogna prendere in giro nessuno. Salvo i cristiani”. Dopo dieci anni in mezzo alla foresta i giovani figli di Ben si dovranno misurare con il mondo moderno e consumista americano, pieno di negozi, videogames e altre diavolerie come la Coca-Cola, chiamata da Ben “acqua avvelenata”.



Anche nel mettere in scena il confronto tra i ragazzi moderni e i figli di Ben cresciuti leggendo Mao, Noam Chomsky e tanti altri intellettuali e filosofi, il regista Ross decide di seguire uno schema binario. Ecco così da una parte i cugini dei figli di Ben descritti come ignoranti, viziati e con in mano sempre il cellulare, mentre dall’altra la figlia Zaja che ha solo otto anni sa recitare a memoria e giudicare in maniera personale e puntuale i Bill of Rights.

Per essere onesti ci sono anche dei momenti in cui la “fantastichezza”, perdonate il neologismo, di Ben viene vista vacillare, come quando Bo, interpretato dal giovane George Mackay, scopre di non sapere nulla in fatto di ragazze tanto da urlare a suo padre che lui sa solo ciò che è scritto nei libri. Ma bastano poche scene, per rivedere di nuovo Ben in testa a guidare la famiglia felice verso il luogo dove sarà celebrato il funerale della moglie. L’obiettivo della famiglia hippie è quella di impedire il funerale in chiesa, perché sa che la madre era buddista e aveva esplicitamente richiesto in un testamento di essere cremata e di vedere le proprie ceneri finire in uno scarico qualunque.

Comunque sono così tante le scene di inutile violenza che costellano il viaggio della famiglia che probabilmente per molti sarà difficile resistere fino alla fine per scoprire se il fantastico padre riuscirà o meno nella sua missione. Quello che invece è doveroso dire è che nel film ci sono diversi accenni, spunti che invitano a una riflessione sul ruolo del padre, così necessaria di questi tempi, ma che purtroppo non vengono mai fino in fondo presi sul serio. 

Infatti, il fantastico Ben non convince come figura di padre, perché in fondo non apre i figli alla scoperta del mondo, come ovviamente non lo fanno i genitori dei ragazzi-consumisti parenti di Ben. Forse bisognerebbe iniziare a ragionare meno per assurdo, con meno pregiudizi, non tanto per tirare fuori metodi educativi fantastici, ma almeno per non dare soluzioni alienanti e quindi inutili, come inutile in fondo appare il contributo di questo film.