Quella della serata di cover al Festival di Sanremo è un’idea presente in palinsesto dall’Edizione 2010 e risponde ad un duplice intento. Da una parte l’invasione dei Talent Show paradossalmente fa gradire al pubblico maggiormente un repertorio di cover piuttosto che un repertorio originale, ancora sconosciuto. Potremmo dire, si è perso il desiderio di terre vergini per schiacciarsi su certezze già consolidate. Ma passando dal punto di vista del consumatore a quello del produttore, nell’ormai asfittico mercato discografico è possibile fare leva su dei brani forti, che hanno già avuto grande successo e che possono riempire una serata dello show televisivo mostrando gli artisti in gara alle prese con brani non loro. A parte Patty Pravo, che ha deciso di ‘coverizzare’ se stessa. Ma ci arriveremo quando sarà il momento.
Dando un’occhiata panoramica ai brani proposti, l’arco temporale è ampio: dal 1952 del Quartetto Cetra al 1998 di Pino Daniele, con il maggior numero di pezzi provenienti dagli anni ’70. Ampio ventaglio di artisti, con due pezzi a testa per Battisti e Carosone. Lodevole l’iniziativa di rockol.it, che ha pubblicato brevi commenti e tutti i video dei brani originali che stasera verranno coverizzati.
Ma prima delle cover, partiamo con i giovani in gara, cominciando con Miele e la sua Mentre ti parlo, canzone solida e abbastanza all’antica, vocalità dell’artista graffiante ma forse un filo in difficoltà. Francesco Gabbani esegue Amen, parafrasi di luoghi comuni pan-religiosi a ritmo vagamente disco. La spunta Miele, con la canzone effettivamente meno banale (anche se un imbarazzante errore tecnico nel voto dei giornalisti costringerà alla ripetizione con il clamoroso ribaltamento del risultato: Miele eliminata, vince Gabbani).
Michael Leonardi contro Mahmood è la seconda sfida, finto melodico tenorile il primo, un po’ più aggressivo e con un timbro forse un po’ più interessante il secondo, climi desunti dallo stile di Madh, secondo classificato l’anno scorso ad X factor. Vince Mahmood, forse per via del brano più moderno e meno standard. Inizia quindi la serata cover, che sarà piuttosto lunga. Mi permetto pertanto di non commentare i vari siparietti comici e di soffermarmi solo sulle canzoni.
Inizia Noemi con Dedicato di Fossati, legata alla memoria di una Loredana Bertè bellissima e non ancora sguaiata. L’orchestra si esalta, forse non crede di poter suonare finalmente come si deve, il pezzo è di spessore e Noemi lo fa davvero bene. Anche perché le sta addosso come un vestito della taglia perfetta. Graffiante, convinta, convincente. È tempo per i Dear Jack di interpretare Un bacio a mezzanotte, Quartetto Cetra, 1952. Lode ai coristi e all’orchestra che tengono a galla una interpretazione e un arrangiamento assolutamente fuori tema.
Gli Zero Assoluto confermano il loro nome e distruggono Goldrake, peraltro usando una cover lenta già fatta da Alessio Caraturo. Pollice verso senza appello.
Giovanni Caccamo e Deborah Iurato direi senza infamia e senza lode, cantano Pino Daniele da cantanti di talent. Peraltro Amore senza fine è un brano del 1998, non il migliore periodo di Pino.
Noemi è in testa – a ragione – al primo gruppo di quattro. E si riparte con la seconda quartina.
Patty Pravo con il rapper Fred De Palma coverizza se stessa e fa quello che l’estensione ridotta e il lifting ormai le permettono. Nessun paragone con il bellissimo originale di Tutt’al più del 1970.
Alessio Bernabei (con Benji e Fede) si getta sulla straordinaria A mano a mano di Cocciante, trasformata in una inutile ballata. Una delle cover più sbagliate mai sentite.
Dolcenera agita la bacchetta magica arcobaleno mentre interpreta Amore disperato di Nada. Sono troppo legato all’electro-pop dell’originale del 1983 per apprezzare questa modernissima cover, dal suono progressivo, interpretata in ogni caso dall’artista con veemenza e ottima intonazione, e molta teatralità.
Clementino tenta Don Raffaè di De Andrè, e il rapper su cui non avremmo scommesso esce invece a testa alta. Dimostrando che la scelta dei pezzi non è marginale. Un rapper ha scelto un brano che era già un rap all’origine, o per lo meno aveva un flow. Mantenuto l’arrangiamento originale e aggiunta la napoletanità che Clementino ha già di natura, il giochetto è riuscito. E infatti Clementino ha la meglio, e poi si lascia spazio ai Pooh e ai loro 50 milioni di dischi e 50 anni di carriera.
Ripartono Elio e le storie tese, riprendendo la Quinta di Beethoven nella versione di Saturday Night Fever –piena disco anni 70 da studio 54 – aggiungendo un testo originale. Si tratta della cover di un brano del 1976 di W. Murphy, Fifth of Beethoven. Parodia al potere, come al solito, musica suonata bene: forse contro tutti dico che l’ironia per l’ironia mi ha un po’ stancato.
Arisa interpreta Cuore di Rita Pavone, pezzo assolutamente nelle sue corde e arrangiamento diverso dall’originale, ma rispettoso dell’epoca. Rocco Hunt sposa il Carosone di Tu vuo’ fa’ l’americano alla sua maniera, e riesce come Clementino a non deludere. Francesca Michielin propone Il mio canto libero di Battisti in maniera abbastanza canonica, ma senza grandi vibrazioni, nonostante la sua commozione (vera o finta giudicate voi) alla fine del pezzo. Vediamo un po’ chi la spunta… Rocco Hunt. Terzo gruppo.
Neffa tenta anche lui l’approccio a Carosone con O’ Sarracino ma se l’arrangiamento con i Bluebeaters – sempre uguali a se stessi – tutto sommato regge, la voce è quantomeno imbarazzante. Scanu fornisce il secondo tributo a Battisti, con la straziante Io vivrò (senza te) che stasera però non strazia affatto. È il momento di Irene Fornaciari che si dedica ad un brano del suo conterraneo Gianni Morandi, già cover negli anni 60 di un brano di Neil Diamond, Se perdo anche te. Niente di più e di meglio dell’originale, sinceramente. Arrivano i Bluvertigo con La lontananza di Modugno, e forse è meglio non commentare che commentare. Forse giustamente, si aggiudica la vittoria di questa quartina chi almeno ha cantato decentemente e cioè Scanu.
Lorenzo Fragola comincia seduto e attacca La donna cannone. Forse ha scelto un brano un po’ troppo grande per lui, e se è vero che nemmeno De Gregori svetta per vocalità, Fragola fa proprio fatica e non convince. Enrico Ruggeri ripropone ‘A canzuncella degli Alunni del Sole riprendendo una sua versione del pezzo uscita quasi trent’anni fa, e di conseguenza la fa con maestria vagamente blues, ma la conosce già.
Arriva poi Annalisa – a parere di chi scrive una delle più interessanti realtà vocali del nostro paese – e si conferma al top della forma, rendendo America di Gianna Nannini con aggressività e intonazione perfetta. La sera dei miracoli di Dalla permette agli Stadio di giocare in casa e mettere in luce la vocalità rock di Curreri in un arrangiamento praticamente fotocopia dell’originale. La voce e l’immagine di Dalla che appaiono ad un certo punto completano – insieme ad un livello qualitativo altissimo – l’effetto nostalgia e lanciano gli Stadio verso la vittoria della sezione. E così avviene. Dopo l’esibizione dell’altro super ospite Hozier – ma perché mai sarà stato invitato a cantare il suo grande successo di più di un anno fa? Leggete il testo di Take me to church,guardate il video e lo capirete – si va verso la conclusione della serata, un po’ prima dell’una. Chi vincerà la palma della miglior cover della serata fra i due rapper sotto contratto con le major, i due personaggi-talent e il gruppo-nostalgia? 0:55, si rientra dalla pubblicità e si arriva al verdetto: quinto posto per Hunt, quarto per Noemi, terzo per Clementino, secondo posto per Scanu e in vetta gli Stadio. Se non altro, nostalgia o no, ha vinto la canzone di gran lunga più bella. E buonanotte a tutti.