Quante volte ci siamo svegliati con la netta sensazione di doverci ricordare qualcosa di importante, senza essere in grado di farlo. E più ci si concentra sul particolare, più questo tende a sfuggire. Oblìo da levataccia mattutina. Alzi la mano chi ne è esente. E poi le nostre giornate sono contrassegnate da memo, post it, promemoria, note, appunti e memorandum. Eppure, c’è chi per natura possiede una memoria di ferro – e pure a prova di ruggine -, così da ricordare per filo e per segno qualunque dettaglio della propria vita. Coloro i quali convivono con la sindrome ipertimesica (di questo si tratta, dal greco iper, cioè eccessivo, e thymesis, ricordare) soffrono (ci sembra il caso di dirlo) di una condizione che i ricercatori hanno scoperto e definito solo nel 2006, tale per cui una persona si trova ad avere in dote una straordinaria memoria autobiografica, che permette il ricordo di gran parte degli eventi vissuti nella propria vita. 



Le caratteristiche dell’individuo ipertimesico sono legate al grande impiego di tempo nel rammentare eventi specifici del proprio passato, a tal punto da riuscire a ricordare dettagliatamente non solo quasi ogni giorno della propria vita, ma pure gli eventi pubblici che abbiano per lui un significato personale. Il ricordo è qualcosa di “visto nella testa”, che riemerge in maniera vivida, quasi come una diretta televisiva. 



Ma come vive, nel quotidiano, una persona con l’ipertimesia? Affronta i problemi alla nostra stessa stregua, vive, ama, lotta come noi, oppure c’è dell’altro? Ed è possibile anche ai comuni, e smemorati, mortali acquisire un po’ di capacità ipertimesiche? Lo abbiamo chiesto a Riccarda Memore (gli amici la chiamano Riccorda, per via della sua memoria prodigiosa), che si è gentilmente prestata al fuoco di fila delle nostre domande.

Riccarda, buongiorno. Si ricorda del nostro appuntamento telefonico?

Certamente. Lo abbiamo fissato 5 giorni, 3 ore e 12 minuti or sono.



Caspita! Ci stavamo dimenticando della sua ipertimesia…

Io no di certo, né di questa, né di altre cose ancora. Ricordo bene che quando abbiamo concordato questa intervista avete cercato di vendermi una batteria di pentole, dicendomi che con questo lavoro sbarcate a fatica il lunario. Un dettaglio di cui il direttore del Sussidiario sarebbe meglio non venisse a conoscenza…

Lasciamo perdere queste minuzie insignificanti. Veniamo a lei: qual è il suo primo ricordo?

Nella pancia della mamma. Il papà continuava a importunarla, ignaro che io ci fossi già e, soprattutto, che io fossi ipertimesica.

Beh, lasciamo stare l’intimità dei suoi genitori. Come si divertiva da piccola?

Il mio gioco preferito era il Memory, quello dove bisogna indovinare le coppie di carte. C’ho giocato con le mie amichette solo un paio di settimane. Poi mi hanno costretto a fare i solitari: al Memory volevano giocarci anche loro.

Un simpatico aneddoto giovanile, magari meno malinconico di questo?

Accompagnavo spesso il mio papà al lavoro, soprattutto durante l’estate. Lui faceva il vigile urbano. Ricordo che spesso, quando uscivo con lui, si metteva con l’auto d’ordinanza in una viuzza nascosta sulla provinciale, segnatamente il vicolo Lavagna a Gessate. Me lo ricordo come fosse ora… 

Beh… non avevamo dubbi in proposito. E che succedeva, nel vicolo?

Mio padre si metteva in accurata osservazione delle autovetture che sfrecciavano ad alta velocità su una strada con un limite ben evidenziato dai cartelli stradali. Quando ne rilevava una, non doveva fare altro che.. declamarmi il numero di targa. Al resto pensavo io. Le multe poteva refertarle tranquillamente al rientro in ufficio.

Questo le capitava da piccola. Ora che lavoro fa?

Lavoro nello staff di Wikipedia, non mi sfugge niente, mi tengo in continuo aggiornamento, senza fatica alcuna.

 

Con i ragazzi, come va?

Me li ricordo tutti, uno per uno…

 

Bella forza, per una come lei. Ne ha avuti molti?

Uno solo. Infatti, stavo dicendo prima, me li ricordo tutti: 1 x 1 = 1. Mi ha mollato perché non sopportava le mie puntuali osservazioni sui ritardi ai nostri appuntamenti. È successo – luoghi e orari mi sono ben impressi nella memoria – il 12 maggio 2005 in via Pasubio a Gessate alle 9.08, poi il 15 maggio in via Repubblica alle 16.42, ancora il 20 maggio a Cascina Pignone alle 13.37… e altre 16 volte. Finché un giorno, esattamente il 27 giugno 2005, alle 20.55 in Largo Donatori di Sangue e di Organi, è accaduto che il suo ritardo abbia assunto dimensioni insopportabilmente sproporzionate: avevamo appuntamento alle 18.30, ma alle 20.55, appunto, non si era ancora presentato e io, stanca di aspettare, me ne sono tornata a casa. Da allora non l’ho più visto. Se potessi, di lui mi dimenticherei volentieri.

 

Dovesse dare un consiglio a tutti quelli che non hanno le sue capacità, cioè a quasi tutti noi, cosa direbbe?

Imparate a sedimentare i vostri ricordi, a imprimerli nella mente in maniera così ferma, tale che quello che è successo un anno fa diventi come un ricordo dell’altro ieri, e ciò che è stato dello scorso mese sia come fosse accaduto ieri, e ciò che…

 

Sì, afferrato, è chiaro il suo concetto: il passato remoto si fa prossimo e il passato prossimo si fa presente. Un’ultima curiosità: ma è vero che gli ipertimesici non ricordano quello che hanno appena detto o fatto?

Sono solo fandonie di persone invidiose e smemorate.

 

Riccarda, grazie dell’intervista!

Intervista? Quale intervista???