Zev Guttman (Cristopher Plummer) è un novantenne affetto da demenza senile. La morte della moglie, avvenuta una settimana prima dell’inizio della vicenda, lo spinge a fuggire dalla casa di cura in cui è ricoverato, e, grazie all’aiuto di un amico (Martin Landau), a portare a termine un compito di vitale importanza: scovare e uccidere quel Rudy Kurlander che, ai tempi di Auschwitz, si è macchiato del sangue di entrambe le loro famiglie. Inizia così un viaggio che porterà Zev ai quattro angoli del continente nordamericano, armato solo di una lettera scritta dall’amico (fondamentale per non dimenticarsi tutto), un astuccio da bagno e una pistola. 



Non è un caso se Rememberricorda, sin dal titolo, il film d’esordio di Christopher Nolan, Memento, in cui un investigatore improvvisato interpretato da Guy Pearce soffre di amnesia ed è costretto a tatuarsi gli indizi sul corpo. In quel caso è l’originalità a farla da padrona, con una struttura “a ritroso” che alimenta efficacemente il meccanismo del thriller; qui la progressione è lineare, ma il regista Atom Egoyan sfrutta l’espediente narrativo con una certa abilità, tanto da garantire un paio di momenti di pura suspense che risultano ancora più inaspettati alla luce di un incipit dimesso, vagamente ironico. 



Prima di analizzare la componente thriller, infatti, che è il vero cuore pulsante del film, non va dimenticato che Remember (presentato in concorso a Venezia) non disdegna momenti di leggerezza e distensione, a differenza del quasi-omonimo nolaniano. La demenza di Zev è, sì, un meccanismo narrativo pensato a tavolino, ma contribuisce anche a renderlo più simpatico del classico vendicatore senza macchia e senza paura. L’adrenalina è pressoché azzerata (salvo un paio di sequenze, abilmente disseminate per tenere viva l’attenzione), ma in compenso lo strano road movie di Egoyan punta tutto sull’incespicante determinazione di un uomo giunto al tramonto della vita, per cui comprare una pistola diventa un’impresa non meno impegnativa della vendetta vera e propria. 



Parlare della componente thriller è più complesso, non tanto perché la trama sia complessa – ogni amante del genere può indovinare dove andrà a parare con un po’ di intuito -, ma perché rovinare il finale significherebbe rovinare una parte consistente del film, quella che te lo fa ripercorrere in retrospettiva per cercare di mettere assieme tutti i pezzi del puzzle. È così per tutti i thriller, ma lo è ancora di più per questo, che decide di puntare su un finale a effetto dalla dubbia coerenza, ma dal sicuro fascino. 

Certo, in mani diverse il film avrebbe potuto osare di più, forte di un bel soggetto che, pur con qualche scivolone, non perde una virgola del suo smalto iniziale; attori come Bruno Ganz e Martin Landau vengono sfruttati poco per le loro capacità, anche questo è vero, ma, se la si giudica complessivamente, l’ultima fatica di Egoyan fa dimenticare alcune sue recenti cadute di stile (Devil’s Knot del 2013) e si fa ricordare come un thriller/dramma di tutto rispetto.