Chi accusa gli Oscar di essere prevedibili, stavolta dovrà quasi rimangiarsi l’affermazione: l’edizione che si è svolta ieri notte, la numero 88 degli Academy Awards, ha assestato più di un colpo di scena, anche grazie alla presenza di molti film amati dai membri dell’Academy. A portarsi a casa il premio come miglior film è stato Il caso Spotlight, il bel lungometraggio di Tom McCarthy sull’inchiesta giornalistica che svelò lo scandalo dei preti pedofili in America: prima enorme sorpresa visto che il favorito era Revenant e la cabala diceva La grande scommessa (che aveva vinto il premio del sindacato produttori, PGA, di solito il principale viatico per l’Oscar). Il caso Spotlight si porta a casa anche il premio per la miglior sceneggiatura originale ed è nella storia uno dei film vincitori per il miglior film con il minor numero di Oscar totali (2).



I suoi rivali si accontentano: Revenant, l’epica storia di vendetta e sopravvivenza di Inarritu vince 3 premi, quello – finalmente – all’interpretazione di Leonardo DiCaprio (che nel discorso di ringraziamento sottolinea l’importanza di combattere il riscaldamento climatico), quello alla regia così Inarritu diventa uno dei tre ad averlo vinto per due anni di fila insieme a John Ford e Joseph Mankiewicz (il precedente era per Birdman) e quello alla fotografia del grande Emmanuel Lubezski, al suo terzo Oscar consecutivo; La grande scommessa invece porta a casa solo il premio – giusto – per la sceneggiatura non originale, un miracolo di tensione narrativa, precisione, competenza e capacità di rendere avvincente la finanza raccontando la bolla speculativa che ha causato la grande crisi mondiale.



Ma le sorprese non sono finite, per esempio tra gli attori: se il premio a Brie Larson per l’ottimo Room era scontato, i due non protagonisti hanno fatto la felicità degli scommettitori. Tra le donne, Alicia Vikander per The Danish Girl ha battuto la fantastica e favorita Kate Winslet di Steve Jobs, valorizzando comunque una prova in cui si era mostrata nettamente superiore al compagno di scena Eddie Redmayne; clamoroso invece il ribaltone tra gli uomini, pronti a festeggiare il Sylvester Stallone di Creed – a 40 anni dal primo Rocky – e invece vince il bravissimo Mark Rylance de Il ponte delle spie di Spielberg, provocando un dolore tra i molti fan dell’attore italo-americano.



Gioia anche per l’Italia grazie a Ennio Morricone premiato a 87 anni per la splendida colonna sonora di The Hateful Eight di Tarantino (il vero film assente dalla corsa ai premi più importanti), il secondo Oscar dopo quello alla carriera per il maestro romano. E secondo Oscar di fila per la canzone di un film su James Bond: Writings on the Wall da Spectre vince il premio battendo (grazie al cielo) Lady Gaga.

Un altro dei grandi vincitori della serata è stato Mad Max: Fury Road, il poderoso film post-apocalittico di Miller ha vinto 6 premi tecnici – meritatissimi, il film è una sorta di sinfonia avanguardistica sul movimento – come scenografia, montaggio (sublime), costumi, trucco, sonoro e montaggio del sonoro, ma ne ha perso un settimo che pensava di avere in tasca: quello per gli effetti speciali vinto dal raffinato Ex-Machina. Scontato il premio a Inside Out come film d’animazione (anche se avrebbe dovuto gareggiare per tutti i premi principali, e forse anche vincerli), mentre nel testa a testa per il miglior film straniero Il figlio di Saul ha battuto Mustang, affermando il suo sguardo e la sua ricerca linguistica sconvolgente.

Se i premi hanno garantito spettacolo e suspense, non lo stesso si può dire dello show, condotto quest’anno da Chris Rock che ha infarcito la trasmissione di battutine sulla questione Oscar so white, la polemica e il boicottaggio da parte della comunità afro-americana per l’assenza per il secondo anno consecutivo di attori di colore nelle nomination. Visto il livello della sua conduzione, si potrebbe malignamente pensare che avrebbero dovuto continuare su quella linea. 

In ogni caso, gli Oscar 2016 confermano la linea di condotta secondo cui l’industria premia quei film che rischiano di sparire dagli schermi o che hanno poco spazio, i film medi, adulti e impegnati che devono combattere contro i continui kolossal per ragazzi e cinecomics in cui Hollywood sguazza da un po’ di tempo, segnando una divisione interessante, ma forse pericolosa, tra film per gli Oscar e film per il pubblico, come se fossero due entità diverse, creando il rischio degli Academy Award come di un ghetto culturale. A ogni modo è un segnale da tenere in considerazione.