Lunedì 1° febbraio il mondo del cinema ha ricordato il comico Buster Keaton, scomparso giusto 50 anni fa. In omaggio al genio del cinema muto, famoso per le gag che lasciavano lui e gli stessi spettatori senza parole, lo star system ha ben pensato di non tributargli applausi, ma minuti di silenzio. Così a Hollywood un picchetto d’onore ha sparato (ovviamente con il silenziatore) 71 colpi in aria (uno per ogni compleanno di Keaton), mentre il direttore Riccardo Muti, unitamente all’orchestra russa Zitti & Mosca, ha dedicato al grande attore americano una memorabile esecuzione di 4’33? (Quattro minuti, trentatré secondi), brano in tre movimenti del compositore sperimentale statunitense John Cage, il cui spartito dà istruzione agli esecutori di non suonare per tutta la durata della composizione, salutata alla fine dal pubblico con un’impercettibile (acusticamente parlando) standing ovation. Del resto Buster Keaton in vita sua fu molto parco con le parole, sembra anzi che ne spiccicò una sola, in punto di morte: “Addio”. E poi… Buster.
Non crediate che il nomignolo “Buster” sia dipeso da questo episodio, non foss’altro perché avvenuto in un momento della vita dove per i soprannomi non c’è più molto spazio. L’idea venne ai genitori dopo averlo visto precipitare dalle scale: buster infatti significa caduta rovinosa. Il suo vero nome era Joseph Frank, ma lui non lo pronunciò mai, manco a scuola. Neppure le interrogazioni lo distoglievano dal suo recitato silenzio, preso com’era a fare scena muta.
Nato in una casa completamente insonorizzata, a Piqua, nel Kansas (i suoi avi erano originari di un paese del Varesotto, Buster Arsizio), fin da piccolo mostrò le sue doti di attore nato – aprire la bocca per piangere, senza emettere alcun suono, nemmeno gutturale, per lui era davvero un gioco da ragazzi -, dotato com’era di un acume fuori dal comune (proverbiale la sua abilità in un gioco della Week Puzzles – la Settimana Enigmistica americana – che si chiamava “Senza parole crociate”); coltivò assiduamente una sola sconfinata passione (oltre alla recitazione): i serpenti. Era affascinato dai rettili, verso i quali provava una vera fissazione, al limite dell’isolamento, tanto che i coetanei, impauriti da queste frequentazioni “a sangue freddo”, avevano coniato per lui il soprannome (un altro?!?) di Buster Piton.
I suoi genitori, che lo amavano alla follia, erano entrambi attori di vaudeville: fu per loro naturale insegnargli fin da subito i segreti dell’arte del mimo, all’insegna del vecchio adagio il silenzio è d’oro. “Mai e poi mai uno come lui si abbasserà a fare lo strillone dei giornali!”, era l’opinione di chi lo conosceva bene. E lui? Sempre muto come un pesce. Anzi, negli anni d’oro della sua fulgente carriera trovò pure il tempo di diventare un eccellente subacqueo (bravissimo e velocissimo soprattutto nell’indossare… la muta). Queste doti innate gli permisero negli anni di sviluppare una notevole capacità di ascolto. Mai nelle discussioni pretese di avere l’ultima parola (e se è per questo, nemmeno la prima), affezionatissimo com’era al fratello Charlie, diminutivo di Charliero, e al facoltosissimo fratello di suo padre, lo zio Arrik Keaton, che spesso lo rimproveravano bonariamente: “Sei un reticente!”. Ma Buster stette sempre al gioco, e in vita sua non comprò mai una vocale, pur potendosele permettere tutte.
La sua muta genialità – siamo negli anni tra il 1910 e il 1920 – venne notata e apprezzata da un famoso e strapagato attore, produttore e regista americano del film muto: Roscoe Arbuckle, soprannominato Fatty (da fat, ovvero grasso in inglese) per il suo aspetto fisico imponente. Roscoe era diventato famoso con una serie di cortometraggi dei quali egli stesso, con il soprannome Fatty in bella evidenza sui manifesti pubblicitari dell’epoca, divenne protagonista, produttore e regista: stiamo parlando di corti del calibro di “Fatty più in là”, “Fatty non foste a viver come bruti”, “Fatty i Fatty tuoi”, “Fatty non parole”, “Fatty e Miss Fatty“, “Fatty e straFatty“, “Fatty mandare dalla mamma a prendere il latte” (il titolo è lungo come l’intero cortometraggio).
Buster Keaton sapeva guardare lontano. Una volta scrisse (non si ricorda, a memoria d’uomo, un solo discorso fatto in pubblico): “Sogno un posto dove la gente possa venire, bloccare un film e poi portarselo a casa per gustarselo sul proprio divano”: forse, col senno di poi, se avessero chiamato in suo onore BlockBusterKeaton la famosa società di distribuzione e noleggio, beh… avrebbero sicuramente reso il meritato onore a un grande del cinema!
Noi qui lo vogliamo ricordare soprattutto per le sue folgoranti battute al fulmicotone. Ci limitiamo a citarne la migliore, che ben si addice al suo personaggio, silenzioso ma non taciturno (di solito gli individui taciturni stanno zitti a turno, mentre Buster, dobbiamo riconoscerlo, è stato coerente fino alla fine con il suo motto: Taci semper). Eccola: “………… ………… ……… … ……… ……………… ……… ……… …… ………… …..!!!”. Geniale, tanto quanto l’epitaffio che gli ha dedicato il nostro Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha silenziosamente rubacchiate qua e là in giro per il mondo: “Riposa in pace, caro Buster, e ricordati: non è ancora detta l’ultima parola”.