Facciamo un salto indietro e torniamo negli anni Settanta, riportiamo alla mente le utopie che alimentavano la cultura di allora e le contraddizioni di una filosofia di vita che oggi ci sembra probabilmente lontana. Trasferiamoci nel mondo scandinavo, nella Copenhagen del 1975 dove il regista Thomas Vinterberg ambienta il suo nuovo film, La comune, adattando una propria opera teatrale. Qui Erik e Anna (docente di architettura lui, giornalista lei), genitori di una ragazzina adolescente, ereditano una grande casa e non sanno che farsene. Annoiata dalla quotidianità, Anna (Trine Dyrholm) propone di invitare alcuni amici ad abitare con loro e dare origine a una comune, vincendo le resistenze del marito che, inizialmente, non è favorevole all’idea. 



Così il progetto si realizza e una piccola comunità popola la bella casa, portando ognuno le proprie abitudini e i propri problemi. Gli abitanti si danno delle regole, organizzano riunioni intorno al tavolo per gestire la vita comunitaria, si sostengono a vicenda, ma adottano anche dei comportamenti discutibili (girare nudi per casa, per esempio) che non tengono conto della presenza dei minori.



A osservare gli atteggiamenti degli adulti, infatti, troviamo Freja, la figlia di Anna ed Erik, alle prese con le prime esperienze sentimentali e sessuali, e Villads, un bambino malato di cuore e rassegnato a un triste destino. Forse il loro sguardo è quello del regista, che ha vissuto davvero in una comune e che, nel film, riproduce i meccanismi contorti e le derive catastrofiche di un esperimento utopico che non può finire bene. 

In effetti, l’idea della “grande famiglia” eterogenea mostra ben presto le sue contraddizioni e la sua ingenua filosofia: quando Erik si innamora di una studentessa, Emma, Anna insiste per accoglierla nella loro casa, imponendosi di accettare la libertà di amare al di fuori del matrimonio. Una forzatura assurda, che inesorabilmente la porta a crollare e a sfogare infine il proprio dolore e senso di abbandono, perché il tradimento non si può accettare. 



Aiutato da un cast di alto livello, Vinterberg (reduce dalla parentesi letteraria di Via dalla pazza folla) ritrae una generazione fragile e piena di contraddizioni, con tenerezza e partecipazione, ma sottolineando la miopia delle loro illusioni, che causano dolori difficili da superare. Il suo sguardo critico passa attraverso gli occhi di Freja, costretta a maturare troppo in fretta e a intervenire per trovare l’unica soluzione possibile, quella che i genitori non osano ammettere. Eppure, mentre il sogno di Anna si trasforma in un incubo, Freja riesce a mantenere la propria fiducia nell’amore e prende distanza dagli errori degli adulti per seguire la sua strada. 

La comune non è un film facile, anzi. Lascia un senso di disagio profondo, mostra ferite che i personaggi causano a se stessi e agli altri in nome di un egoismo che li porta a dimenticare i sentimenti altrui. Freja sembra crescere da sola, senza una guida, mentre i genitori portano avanti un triangolo che rispecchia la loro confusione sulla vita, sull’amore, su cosa significa essere adulti. 

Emma entra nel quadro con l’illusione di trovare il suo posto in un microcosmo che non sta in piedi, perché le premesse da cui parte si scontrano con la realtà. E la realtà, sembra dire il regista, reclama sempre la propria presenza, spazzando via le illusioni e costringendo ad ammettere che la vita non si può costruire su un’utopia.