Il salto mortale che si è trovato a compiere Jon Favreau per la nuova versione de Il libro della giungla è multiplo: ovvero realizzare un film non animato – ma nemmeno live action visto che oltre al bambino protagonista gli animali sono tutti animati al computer su basi reali – fedele alla lettera del cartoon del ’67 e allo spirito del romanzo di Kipling, risultando così un film dal marchio Disney, ma con ambizioni non solo per ragazzi. Impresa improba, ma tutto sommato riuscita.
La storia del film è quella che in molti hanno conosciuto con il cartone di Reitherman: ossia Mowgli, cucciolo d’uomo cresciuto dai lupi dopo la morte dei genitori, si trova a dover scappare perché la tigre Shere-kan non lo vuole più nella giungla e vorrebbe ucciderlo. Assieme alla pantera Baghera che lo ha addestrato e all’orso Baloo viaggeranno alla ricerca del villaggio degli umani: ma è davvero quello il posto a cui Mowgli appartiene?
Scritto da Justin Marks, Il libro della giungla è un film d’avventura di stampo abbastanza classico (in cui si sentono echi anche della versione del 1942 diretta da Korda) che anziché seguire le sontuose baracconate che casa Disney ha prodotto negli ultimi tempi (Maleficent e Cenerentola soprattutto) punta al sodo: ovvero natura, animali, pericolo, azione e valori morali, ché pur sempre di una fiaba si sta parlando.
In questo senso, dal punto di vista del film per ragazzi, Favreau si comporta a dovere, sa tenere in equilibrio la parte comica, il fascino degli animali parlanti, la meraviglia dei luoghi, un senso dell’avventura che cresce con i minuti arrivando quasi a una sorta di ossequio religioso del cartone quando rielabora due delle canzoni originali come “Lo stretto indispensabile” e “Voglio esser come te”. Quello che non gli riesce è nell’impasto stilistico tra fiaba vecchio stile, realismo grafico di stile documentario (National Geographic e affini) e frenetico montaggio contemporaneo che il 3D rende poco digeribile, mondi estetici che il regista non sa gestire e che frenano il fascino del film e rischiano di bloccarne lo sviluppo e l’evoluzione. Per fortuna vincono le ragioni della semplicità e del racconto: così gli ultimi 20 minuti risultano tra le migliori cose non animate uscite dalla casa di Topolino.
Un prodotto per famiglie e per il grande pubblico pensato e realizzato con intelligenza, da cui nessuno esce deluso e che si segnala per il ricco parterre vocale di attori che hanno interpretato le voci: si va da Ben Kingsley a Scarlett Johansson ai nostrani Toni Servillo e Neri Marcorè. Ma le vere rivelazioni sono la sensualissima Giovanna Mezzogiorno (Kaa) e l’irriconoscibile Giancarlo Magalli, notevole Re Luigi in grado di bissare la sua prova vocale come Filottete in Hercules.