Se c’è un Paese europeo che, più di tutti, si premura di portare sul grande schermo un nervo scoperto della propria storia come quello del secondo dopoguerra, la palma va sicuramente alla Germania. Dopo l’italiano (ma tedesco da sempre) Ricciarelli e il suo recente Il labirinto del silenzio, accolto con calore sia dal pubblico che dalla critica, un altro film racconta la lotta da parte di un esiguo numero di procuratori per assicurare i nazisti fuggitivi alla giustizia. 



Siamo sul finire degli anni ’50 e il procuratore Fritz Bauer (Burghart Klaussner) riceve una soffiata in merito alla presenza in Argentina di Adolf Eichmann (Michael Schenk), una delle principali menti dietro al genocidio nazista. La sua determinazione a catturare i colpevoli è mal vista in una Germania che, sotto la guida del cancelliere Adenauer, vuole dimenticare le proprie colpe passate, e il procuratore si trova così costretto a collaborare con i servizi segreti israeliani (dicasi “alto tradimento”) pur di perseguire il proprio scopo. 



Come ha sintetizzato perfettamente Ricciarelli nel titolo del suo film, anche Bauer si trova in un “labirinto del silenzio” da cui non sembra esserci via d’uscita; i nemici continuano a sfuggirgli e quelli che dovrebbero essere considerati “amici” tramano per eliminarlo, senza contare le minacce costanti di cui il procuratore è vittima. Nonostante tutto, e proprio “grazie” a questi ostacoli, la figura di Fritz Bauer giganteggia eroicamente sopra tutti gli altri, e si configura come il protagonista perfetto per una spy story ambientata in una Francoforte ritratta come in un noir. 



La forza del film sta infatti per buona parte nel suo personaggio principale, ebreo e omosessuale in un ambiente in cui né l’una né l’altra cosa è vista di buon occhio. Proprio come in un thriller, Lo Stato contro Fritz Bauer intreccia alla vicenda principale tutta una serie di sotto-trame, sviscerando personaggi secondari ma essenziali come il giovane procuratore Karl Angermann (Ronald Zehrfeld) e tratteggiando con poche ma efficaci inquadrature coloro che vorrebbero rovesciare Bauer, il tutto inserito in una cornice da intrigo internazionale solidissima nonostante qualche leggero calo di ritmo nella seconda parte. 

La forza del regista Lars Kraume sta nell’essere riuscito a celebrare un eroe nazionale senza facili patetismi, privilegiando l’azione vera e propria alla lode di maniera. Benché romanzati per risultare godibili sul grande schermo, infatti, i punti salienti della lotta di Bauer vengono rispettati con rigore, e ben si adattano a un film che non sfigurerebbe accanto ad alcune delle più celebri spy stories di fantasia, contemporanee e non. 

Rispetto al pur ottimo Il labirinto del silenzio – il confronto risulta inevitabile – il film di Kraume si eleva quindi per potenza visiva, e supplisce alla minore carica emotiva con un Burghart Klaussner capace di rendere alla perfezione la complessità di un uomo vulnerabile ma testardo, arguto e gentile.