Giulia De Martino, a soli diciassette anni, corre come pilota nel campionato italiano GT, guidata ai box dal padre Mario. Ha ancora molto da imparare, ma rivela da sempre una grande determinazione. Quando, alla morte del padre, si ritroverà da sola, avrà comunque la forza di continuare a lottare per inseguire la vittoria nel campionato. Lo farà con l’aiuto del fratello Loris, tossicodipendente ed ex pilota di talento, tornato in famiglia più per ereditare qualcosa che per amore verso la sorella, che per lui è poco più di una sconosciuta. La storia sportiva e umana si incroceranno, a comporre una sfida emozionante, ai confini dell’impossibile.



Il cinema italiano ci riprova. Sull’onda del successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, la versione italiana dei film di supereroi, arriva nelle sale Veloce come il vento, un action movie dedicato alle corse, che sembra riprendere i film americani, tutti motori e passioni, come Rush, Fast and Furious o Need for Speed. Popolati questi ultimi da fisici scolpiti e facce da copertina, essi trovano il successo del pubblico soprattutto per le riprese adrenaliniche e spettacolari e per l’abbondanza di incidenti ed esplosioni. Come dire, non certo un genere di alto spessore cinematografico, ma con una sua precisa connotazione di pubblico.



Matteo Rovere si infila in questo filone, con il coraggio e il merito di voler regalare al cinema italiano qualche variazione sul tema, qualcosa che vada oltre la commedia popolare o esistenziale, che assorbe fatalmente budget, sale e l’attenzione di pubblico e critica del nostro Paese. 

Radicato nella tradizione emiliana e romagnola dei motori, Veloce come il vento prova a raccogliere tutta la colorita passione del territorio per sprigionarla in pista. Alle riprese dinamiche e alla furia emotiva della competizione, Rovere affianca la storia di una famiglia, colpita dal lutto e segnata da livore, disagio e tossicodipendenza. Una storia drammatica, sofferente e ispirata alla realtà.



Questo mix di azione e sentimenti all’italiana non conduce purtroppo ai risultati sperati. Lo spettacolo di buon ritmo è però misurato, fin troppo misurato per dare dignità al genere action. La trama, anche se “ispirata” a una storia vera, risulta un po’ artefatta, con molte banalità e prevedibili conclusioni. Il dramma, che vorrebbe costituire forse l’elemento di fiera originalità del “genere” all’italiana, è azzoppato da una regia e un’interpretazione a tratti poco credibili.

Stefano Accorsi, pur mostrando espressioni intense e vivaci e un ammirevole desiderio di trasformazione, diventa l’artefice di un personaggio quasi grottesco, ai confini della realtà. Una sorta di caricatura, funzionale allo spettacolo e capace di strappare qualche risata, di colpire con la sua eccentrica imprevedibilità e di trasformare la sua sgradevole esistenza in un incredibile miracolo umano e sportivo, fatalmente semplificatorio. La recitazione, in marcato accento romagnolo, che vorrebbe contestualizzare e in qualche modo storicizzare la vicenda, non fa altro che contribuire a rendere provinciale, a mio avviso, questa ambiziosa storia italiana.

Ne risulta un film imperfetto, con profonde dinamiche da fiction, nel quale a ogni traccia di dolore corrisponde puntualmente un “biscotto compensatorio”. Scelto da 01 Distribuito Rai Cinema e Fandango per l’iniziativa “Adotta un film” (a sostegno dei giovani registi italiani), Veloce come il vento è comunque un tentativo che va premiato. Perché prova a fare le cose seriamente, con precisione, accuratezza, realismo e una propria sensibilità. Perché rischia, cercando la via italiana a un genere fino a oggi inesistente nel nostro Paese. Perché porta con sé una visibile passione per le corse, per il cinema e per le storie da raccontare.